Parlare dei rapporti fra politica e antichità vuol dire ripercorrere un arco temporale che abbraccia parte dell’età classica e arriva fino ai nostri giorni, il tutto da un punto di vista chiaramente evoluto e senza dubbio diverso rispetto ciò che immaginavano gli antichi greci.
L’etimologia della parola “politica” deriva dal termine polis, da cui politiké “arte di governare”; il termine democrazia, invece, deriva dal greco δημοκρατία: “forma di governo in cui il potere viene esercitato dal popolo tramite rappresentanti democraticamente eletti”, concetti indispensabili per comprenderne la fortuna di vivere in sistemi democratici, consolidati e liberi. Siamo, però, certi che all’interno dell’Unione Europea, in tutti i paesi membri, si rispettino i valori fondamentali come, ad esempio, la libera stampa? E che non si tratti, come nel caso dell’Ungheria, di una transizione verso un regime ibrido?
Platone per tutta la vita rifletté sulla politica e su quali dovessero essere le perfette virtù del politico e il tipo migliore di governo per una città. Fece una profonda riflessione sulla comunicazione della cultura sociale, trasformò il dialogo in prosa come strumento per divulgare i contenuti, ereditiamo grazie alle sue opere, contenuti per una diffusione orale secondo una concezione culturale molto radicata sul dialogo diretto con i discepoli, oltre che sulla buona politica.
Intercalandoci nel sistema europeo, notiamo come parte di quest’arte sia fallita e messa da parte, è più facile affiancare il tema politico al potere.
È particolarmente raro trovare critiche e connessioni tra la politica attuale e la politica antica, probabilmente questa carenza deriva da continue discussioni riduttive ed eccessivamente semplicistiche, un errore irrimediabile, perché la politica non può essere minimizzata, è un’arte straordinariamente complessa.
Un caso studio particolare, per la sua storia e per i recenti sviluppi, è senza dubbio l’Ungheria. Ma perché un paese governato da Orbán, colui che smantellò il Muro di Berlino nel 1989, simbolo della divisione durante il periodo dell’antagonismo bipolare, voleva bloccare un fondo europeo, non riuscendoci, così importante? Quali sono le ragioni?
L’Ungheria, negli ultimi 10 anni, si sta dimostrando sempre più lontana dai valori fondamentali dettati dall’articolo 2 TUE, introdotto dal trattato di Lisbona, che esprime le radici profonde e l’identità dell’Unione europea delineandone il contratto sociale, che si basa su rispetto della libertà, uguaglianza, dello stato di diritto ecc.
Una figura molto complessa come quella di Vickor Orbán, ha trovato un casuale successo nel 2006 passando dal 7% al 41,7% e vincendo le elezioni parlamentari nel 2010 con 52,7% dei voti. Nel 2006 Fidesz ha vinto le elezioni amministrative che hanno controbilanciato il potere del governo guidato da MSZP, ha vinto 15 dei 23 sindaci nelle più grandi città ungheresi, questo dato risulta rilevante per comprendere il potere che stava acquisendo il partito di Orbán. Un personaggio, la cui politica interna ha creato scalpore a causa dei provvedimenti emanati durante la sua seconda legislatura: ha ridisegnato il modello di istruzione e di informazione creando una commissione governativa di controllo televisivo e sottoponendo il CSM, il potere giudiziario, sotto il controllo del governo Ungherese, ecc.
Era la prima volta che leggi del genere si presentavano in un paese membro dell’Unione Europea. Con una maggioranza dei due terzi, il parlamento dell’Ungheria ha approvato una legge sulla stampa che prevede la soppressione delle redazioni di news, alla tv e radio, che influirebbero in un unico centro di notizie presso l’agenzia di stampa nazionale MTI, agenzia finanziata dallo Stato, pronta ad emanare multe pesanti agli organi di informazione nel caso in cui violassero l’interesse pubblico con articoli “non equilibrati politicamente” o “lesivi alla dignità umana” con multe altissime per giornali e siti.
L’anno 2020 ha messo a dura prova il sistema economico, sociale e politico nel mondo, le pandemie non si fermano davanti barriere e muri, sprona gli Stati ad adottare scelte cruciali e in tempi brevi, ciascuno stato è stato posizionato sul filo del rasoio, anche le cd. grandi potenze, come gli USA.
Orbán, nel frattempo, si allontana sempre di più da quelle che sono le politiche europee e ha iniziato ad adottare politiche estreme contro l’immigrazione: come la legge anti-Soros, molto incentrata sul senso patriottico della società, un sovranista che sfocia in un populismo inconcludente aggravando la sua reputazione in Europa.
Il partito “Fidesz” è stato sospeso a lungo dal PPE nel 2019, e non ha potuto votare in nessuna assemblea del gruppo europarlamentare o svolgere altre attività all’interno del gruppo, il 3 Marzo 2021 Orbán annuncia la decisione di uscire dal gruppo PPE definitivamente. Alla fine la frattura è arrivata, anche in modo decisivo, così il partito perde ulteriori eurodeputati.
Vi è un evidente paradosso nel modo in cui Orbán ha difeso la necessità di un simile approccio all’interno dell’Unione europea, un paradosso che nasce anche dalla storia dello stesso paese ex sovietico che nutre delle evidenti difficoltà nell’integrarsi nel sistema europeo, dopo tutto, entrato nel 2004 in un ottica geopolitica, occorre ancora del tempo affinché questa possa posizionarsi sulla retta via dei valori europei, magari un futuro cambio dell’amministrazione. Allo stesso tempo, coloro i quali sollecitano che l’UE debba rispettare il “pluralismo” ed essere tollerante, non devono sottovalutare i valori fondamentali che la democrazia illiberale di Orbán ha calpestato volontariamente e sta continuando a non rispettare all’interno del suo paese.
Fino a che punto dobbiamo permettere l’esistenza di ulteriori pluralità di sistemi politici nel sistema europeo quando già all’interno di ciascuno stato esiste il pluralismo politico-partitico? A una domanda di questo genere si risponde ricostruendo le condizioni culturali ferree, ma soprattutto un’idea consolidata di Europa.