Il rischio educativo per i bambini. L’Italia in questi giorni rischia di condannarsi fuori dal mondo, più ancora che fuori dall’Europa. Sembra sia in atto una conventio ad exludendum rivolta al futuro del Paese: i bambini. Nessuna parte politica ha dimostrato di prendere a cuore il rischio educativo. Di fatto, l’infelice uscita di Vincenzo De Luca dà candidamente voce al retropensiero che anima la politica di corto respiro di questi ultimi decenni. Il mantra ricorrente è “non possiamo assumerci il rischio”. E chi se lo assume questo rischio (meglio, glielo stiamo scaricando brutalmente addosso)? I bambini e gli studenti, in particolare quelli più poveri e i 285 mila allievi disabili. Nel periodo che ci separa dalla prima ondata di Covid-19 non siamo stati in grado di elaborare una strategia diversificata, che mettesse a fattor comune gli sforzi di più parti. Il tabù della scuola paritaria ha portato a rinunciare al contributo offerto da 12 mila scuole in termini di spazi sicuri e attrezzature. Scuole il cui costo annuo per alunno è di circa 5500 euro contro gli 8500 della scuola statale. Ben venga ora il grido lanciato dal Ministro Azzolina, viene solo da chiedersi come mai ci siamo persi sui banchi a rotelle anziché usare questo tempo prezioso per abbattere steccati ideologici. Ne avrebbero beneficiato i nostri figli. Nei Paesi che si stanno avviando ad un nuovo lockdown ben più severo del nostro la scuola rimane al primo posto. Anche nel Regno Unito, giudicato spesso alla deriva per via della Brexit e che, però, su questo ci sta dando una lezione di cittadinanza e di interesse per il futuro. Abbiamo già dei numeri che documentano il potenziale disastro globale dato dalla perdita di scolarità. Il Sole 24 Ore del 2 novembre riporta di uno studio dell’Ocse sulle conseguenze negative derivanti dalla “perdita degli apprendimenti”. La perdita di un terzo di anno scolastico può comportare un calo dell’1,5% del Pil di qui a fine secolo. Secondo lo studio, dal titolo “The economic impacts of learning losses”, ogni studente rischia di dover rinunciare a circa il 3% del proprio reddito futuro solo per la perdita dei mesi scolastici dalla scorsa primavera. Peccato che sia una stima che prevedeva un ritorno alla normalità scolastica da settembre. Una stima che, purtroppo, è destinata ad essere vista grandemente al rialzo. Va da sé che il calo sarà certamente superiore per gli studenti, per varie ragioni, già svantaggiati. In Italia questo significa condannare ancor più nelle retrovie la società delle regioni economicamente più deboli. Per questo è ancora più grave il fatto che la chiusura delle scuole sia partita da regioni del Mezzogiorno. Per non limitarci a denunciare, proponiamo anche una soluzione. Soluzione, peraltro, suggerita da un’esperta di politiche educative come Suor Anna Monia Alfieri. Occorre seguire il percorso della democrazia, che non è casuale se si vogliono risolvere i problemi in emergenza. E il luogo per questo prediletto è il Parlamento. In queste ore l’unica soluzione proprio la convocazione delle Camere da parte del Presidente del Consiglio e proprio le forze politiche devono avviare una collaborazione reale fra scuole statali e paritarie. Prendendo in considerazione una quota capitaria di 5.500 euro per studente è possibile finanziare un sistema scolastico che garantisca il diritto di apprendere per tutti gli studenti italiani. A questo meccanismo è legato un nuovo finanziamento del sistema scolastico italiano e il censimento dei docenti per incontrare la domanda e l’offerta educativa. Per questo, dobbiamo guardare ai finanziamenti europei come all’ultima “opportunità”. L’investimento attraverso Sure, Bei e Mes di quasi 100 miliardi di risorse, cui si aggiungerà la “dote” di 172 miliardi del futuro Recovery Fund, potrà diventare autenticamente strategico per completare il processo per l’“autonomia, parità e libertà di scelta educativa”. In sintesi, per far ripartire la scuola pubblica a tutti gli effetti. In secondo luogo bisogna avviare accordi con i mezzi di trasporto pubblici e privati per far viaggiare in sicurezza i ragazzi e chi si sposta nello stesso orario. In alternativa, lo scenario dal 2021 sarà esattamente quello del 2020: la scuola ripartirà solo per alcuni privilegiati che avranno in mano le sorti della nazione. Quindi il diritto all’istruzione sarà inteso come un lusso, una cosa da ricchi, come lo è stato per secoli: il figlio del ricco a scuola, presso collegi prestigiosi, il figlio del povero nei campi o nelle fabbriche, se va bene, ma senza cultura neppure. Il tutto senza una ragione di diritto e di economia. Una pura “idiozia culturale”.