In difesa del popolo sovrano

In difesa del popolo sovrano. Oggi più che in altri giorni pensiamo sia necessario schierarsi in difesa del popolo sovrano. Perché Ashley Babbitt è morta e tutti ne sono felici. Era una donna, ma bianca, veterana e di destra. Dunque nessuno ne fa una martire, anzi. Come nessuno coglie il punto di quanto successo a Capitol Hill: il popolo è entrato in Parlamento come non succedeva da tempo immemorabile (negli Stati Uniti dalla fine del ‘700 e quella volta erano gli inglesi). Un assalto condannato da tutti, come se la presa della Bastiglia prima o i rivoltosi di Hong Kong godessero di buona stampa. Ma davvero possiamo ridurre tutto a una serie di cittadini di serie B aizzati da un pazzo? Perché l’idea che se sei bianco, ignorante e povero allora non sei come gli altri è una negazione degli stessi principi della democrazia moderna. E l’idea che non si possa entrare in Parlamento quando sembra che questo abbia preso la strada sbagliata è la negazione degli ultimi 300 anni di storia europea dove regnanti e principi sono stati ghigliottinati da gente che sapeva a malapena leggere e scrivere. La miopia politica di fronte agli eventi di questi tempi è disarmante: qualunque contestazione al sistema viene descritta come un pericoloso attacco alla democrazia. Ma tutto perché siamo fortunati: in Italia le stesse onde che si stanno verificando in tutto il mondo sono state convogliate in un movimento guidato da un ragazzo che viene definito con disprezzo “bibitaro”. Il Movimento 5 Stelle ha sicuramente sbagliato tantissimo e altrettanto ha mostrato limiti e mancanza di senso del ridicolo, ma ha reso ordinata e istituzionale una protesta globale che i potenti non potranno contenere ancora a lungo. La verità è che i popoli sono in movimento perché l’organizzazione sociale ed economica è arrivata al suo limite. Gli Stati stessi sono ormai talmente lontani dalla realtà da non poter intervenire realmente per tutelare le persone: i poveri sono aumentati in modo esponenziale negli scorsi decenni. Anzi, persino lavorare non è più un modo per uscire dalla povertà. Li chiamano working poor, cioè poveri che lavorano. Basterebbe questo a intellettuali lucidi per proporre una revisione totale del patto sociale messo nero su bianco dalle Costituzioni. Difficile però trovarne perché la maggior parte sono di due generazioni fa, con posizioni garantite da questo sistema. Ma l’onda cresce. Potrebbero pure sparare una palla in testa a Donald Trump, ma ne arriverà un altro. Il popolo è in movimento e ha ragione: non siamo parte del Pil, non siamo numeri, né clienti, consumatori o altro del patrimonio culturale delirante degli ultimi decenni. Siamo persone. Tante persone con il diritto di vivere, non sopravvivere affinché il sistema regga. Se la barca rischia di affondare non si buttano a mare le persone, si cerca di aggiustare la barca fino al porto e poi si ripensa la nave.