Cosa abbiamo da festeggiare per l’8 marzo?

Cosa abbiamo da festeggiare per l’8 marzo? A porsi la domanda per prima è stata Deborah Giovanati in un’intervista a Carolina Pellegrini. I dati non sono i migliori possibili: le violenze sulle donne continuano. In tantissime parti del Paese le donne sono nelle stesse condizioni dell’800. Sottomesse dalla forza della Famiglia e dalla società che continua a vederle come incubatrici e come addette ai lavori di casa. Guadagnano meno, lavorano di più. Le donne sono prigioniere di blocchi sociali che ancora non le lasciano andare. Eppure qualcosa si muove. Il discorso pubblico ha compiuto passi da gigante negli ultimi anni e anche sui diritti si continua a procedere nella stessa direzione, magari a piccoli passi, ma si procede. L’Italia però ha ancora tanta strada davanti a sé perché i paesini alla Mulino Bianco che tanto piacciono alle pubblicità sono il principale ostacolo allo sviluppo sociale. In quegli 8mila comuni italiani almeno 7mila sono piccoli o piccolissimi, microcosmi da cui per vivere le donne dovrebbero fuggire. Perché nel paesini si conoscono tutti e difficilmente un poliziotto sposato applicherebbe davvero la legge contro il vicino di casa che ha tirato un ceffone alla moglie. Perché lì l’autorità è lui ed è un uomo sposato. Solidale con gli altri. In grandi città, dove il singolo poliziotto deve rispondere a una comunità più strutturata può succedere, ma l’agente infedele rischia moltissimo, perché socialmente non è il padrone del vapore. Allora forse per festeggiare al meglio i prossimi 8 marzo dovremmo abbandonare una certa idea di Italia, senza paura per i valori tradizionali. Perché a Sparta le donne erano le proprietarie di casa, per legge avevano il diritto di scegliere più amanti oltre al marito e godevano di tanti altri diritti di cui ancora oggi non c’è traccia. Eppure era Sparta, non Atene.