Legge Zang Tumb Tumb. Perché per noi la legge Zan suona proprio come la definizione di “parole in libertà”: tecnica di scrittura futurista che prevede l’abolizione dei nessi sintattici tradizionali, il rifiuto di articoli, avverbi e aggettivi e l’uso di termini onomatopeici per riprodurre i suoni della guerra. Infatti la legge di per sé l’hanno letta in pochissimi, specialmente tra chi ha manifestato il suo appoggio o contrarietà alla proposta del parlamentare Pd a cui deve il nome, ma proprio come il celebre libretto di Marinetti descrive più una guerra che una proposta di legge. All’aggressività dimostrata ancora oggi nei confronti degli omosessuali, si è risposto con una legge che rischia come sempre di essere usata anche in modo illiberale. Ma ormai questa parte è superata, perché si tratterebbe di ragionare. E sulla legge Zang Tumb Tumb non si può discutere: o sei contro o sei a favore. Devi sperticarti per l’urgenza di questa legge, perché bisogna difendere quella minoranza del 7 per cento del Paese ma che è rumorosa come se fosse il 70. Oppure perché bisogna difendere la libertà di parola e, sì, anche la libertà d’insulto ne è parte. In questo momento di cancel culture chiunque sta attento a cosa dice perché potrebbe essere investito da uno shitstorm pesantissimo. Magari rischia pure di perdere il lavoro. E la Legge Zang Tumb Tumb è la perfetta sintesi di questo problema perché non è più importante il tema, ma il caos che si sviluppa nel dividere chi è a favore e chi contro. Con un insieme di manifestazioni scomposte nelle azioni e nei pensieri. Si procede ignorando le conseguenze di ciò che accade dopo perché l’importante per certi politici è portare a casa un risultato da vendersi alle elezioni. Procedura legittima, per carità, ma a cui solo il popolo potrebbe ribellarsi con alcuni gesti rivoluzionari come leggere il testo di cui si parla. Magari applicare la tolleranza a chi e cosa non ci piace, perché con ciò che ci è gradito è facile. E recuperare così il senso della complessità di parole come libertà: perché essere liberi non vuol dire fare sempre ciò che ci pare, ma lasciare agli altri i propri diritti. Anche quello di insultare, perché alle offese si può reagire in tanti modi, invece quando una legge toglie un pezzettino di libertà, è molto difficile recuperarla. Pure se supportati da ottime ragioni. Allora forse Luca Paladini e gli altri prima di pretendere leggi che restringano ancora la libertà di tutti, potrebbe compiere un passo indietro e riflettere se non ci sono altri mezzi per combattere buone battaglie.