Legramandi: “Perché ho lasciato Forza Italia”. Abbiamo invitato Gabriele Legramandi, consigliere del Municipio 9, a provare a spiegare come mai abbia recentemente deciso di lasciare Forza Italia, una formazione politica storica per Milano e che nel bene e nel male ha caratterizzato gli anni ’90 del Novecento e i primi dieci del nuovo millennio. E che continua a registrare diverse defezioni. Ecco la risposta per il quale ringraziamo il consigliere:
Caro direttore,
innanzitutto ti ringrazio per ospitare questo mio umile commento sulla situazione politica attuale a Milano, seguo con interesse il progetto del vostro giornale online e rispondo con piacere all’invito.
Un invito che nasce dalla mia scelta recente di lasciare il partito in cui ho militato, di fatto, negli ultimi 10 anni di attività politica, svolta nell’istituzione a più diretto contatto con il territorio, il Consiglio di Zona prima e Consiglio di Municipio ora. Un’istituzione purtroppo spesso più morale e politica che amministrativa: con l’ultima riforma sul decentramento, la maggioranza guidata da Pisapia ci ha regalato 9 piccole giunte di Municipio e altrettanti consigli a comporre sempre 9 istituzioni con nessuna competenza diretta e autonoma sulla sostanza dell’amministrazione locale, ossia appunto l’amministrazione dei soldi pubblici. A complicare la situazione, 5 su 9 di questi municipi, com’è noto, si ritrovano guidati dalla coalizione contrapposta a quella che guida il comune, con conseguenti, diciamo così, “incomprensioni” reciproche.
Senza divagare troppo, come dicevo dopo 10 anni di politica attiva ho lasciato Forza Italia e sono entrato nella lista civica di Milano Popolare, riferimento locale del partito nazionale Noi Con L’Italia. La scelta è stata dettata da diversi ordini di motivi, e in questa sede tratterò le ragioni politiche che mi hanno spinto a questo passo. Ritengo ormai da qualche tempo che Forza Italia stia progressivamente esaurendo l’inerzia di quel partito, che vent’anni fa era riuscito a raccogliere insieme tutte le anime moderate alternative alla sinistra e a dar loro la credibilità per riaffermare quei principi liberali, cristiani e riformisti che sono alla base della nostra storia repubblicana. Un lento esaurimento, che gli elettori hanno percepito e trasformato in un’emorragia di voti a favore soprattutto dei partiti più a destra. Questa però è storia nota.
Ciò che posso invece aggiungere sono i riflessi locali di questo movimento: all’emorragia di voti è corrisposto un esodo di eletti verso lidi sicuramente più soleggiati, o comunque verso partiti con una visione sul medio termine più chiara e strutturata. Questo ha lasciato le tante persone che lavorano davvero con onestà intellettuale per le proprie idee o per il proprio territorio con una dirigenza sempre più arroccata sulle proprie posizioni, ridotte spesso a una difesa d’ufficio della propria bandiera, troppo attenti a questioni al di sopra della realtà cittadina. Questa è la sensazione che ho avuto, e pur stimando personalmente ancora molte di queste persone, ho maturato l’intenzione di cercare un punto di vista diverso per quelle che sono da sempre le mie idee e i miei principi.
Aggiungo anche un’analisi sul delicato momento che stiamo vivendo: Milano ha fondato il proprio modello post-expo nell’esperienza di una socialità quotidiana che inizia con il viaggio affollato in metropolitana del mattino alle 8 e finisce con un aperitivo, una birra o con un altro viaggio stipatissimo in ora di punta. Attorno a questi ritmi si sono collegati eventi culturali, economici e sociali sempre più importanti a livello nazionale ed internazionale, tessuto relazionale diventato a sua volta fondamento dell’economia cittadina. Ora è evidente che questo modello deve essere ripensato e ricostruito, ed è necessario per questo porre una forte questione culturale al centro e alla base di questo momento.
A questo punto posso tornare alla politica, perché anch’essa deve tornare al centro di questa rinascita economica e sociale che ricomponga tutte le anime della città nel segno del futuro di questa città. La sostanza di questa ricostruzione non può che essere, appunto, culturale: cogliere l’occasione per ritornare a porre le singole persone al centro dell’azione amministrativa, ricollocare al centro l’obiettivo della coesione sociale per cancellare la concezione di Milano costruita dalle ultime giunte di città esclusiva ed elitaria, e ricomprendere le periferie nello sviluppo della città. Ripensare la mobilità e costruire un ambiente sempre più sostenibile con il coraggio dei grandi progetti, senza urgenze isteriche o pregiudizi ideologiche.
In questo momento la coalizione guidata da “Beppe” Sala rappresenta questa tensione verso il futuro, con una certa credibilità oggettivamente acquisita presso i cittadini. Sull’emergenza covid però ha dimostrato una reazione timida, quasi impotente di fronte alle decisioni delle autorità sovrastanti, e lo stesso Sindaco sembra cercare posti più tranquilli per il suo futuro lavorativo, quasi ad ammettere un esaurimento di quel “Modello Milano” fatto di tanto marketing ma con basi di sabbia, ormai sciolte. Questa può essere l’occasione per il centrodestra di dimostrare la capacità culturale di restituire alla città un progetto politico e sociale di sviluppo umano realmente integrale e diffuso, e cercare con esso il consenso dei cittadini. Meno slogan, rispetto per le periferie e leadership culturale: questa mi sembra la ricetta a cui puntare per le prossime elezioni.
Per tornare alla mia scelta, credo che il mio modesto contributo trovi applicazione più coerente e attuale in questa nuova collocazione, senza questioni di calcolo ma di rispetto per i principi e i valori alla base da sempre del mio impegno politico, ovunque essi mi porteranno.
Grazie ancora per l’ospitalità, e buon lavoro per il futuro.
Gabriele Legramandi