Referendum, Quartapelle: perchè voto sì

Referendum, Quartapelle: perchè voto sì. Dopo aver ospitato un leghista che voterà no, oggi sul referendum sentiamo Quartapelle e il suo perché voto sì all’ipotesi di tagliare un bel pezzo del Parlamento. Non si supera il bicameralismo che è proprio quello che rende lo Stato lentissimo nel governare, ma la dem la pensa così: “Il mio è un sì dettato da motivazioni politiche. Nelle decisioni politiche, come nella vita, non sempre si riesce a fare quello che si vuole. Spesso si agisce per evitare danni maggiori. Così abbiamo fatto lo scorso anno, quando abbiamo deciso di dare vita al governo con il M5S, nella speranza di dividere, e indebolire, la forte spinta populista data dall’unione tra la Lega e il M5S. Quella decisione, presa certamente non a cuor leggero, qualche risultato lo ha portato: il M5S ha cambiato le proprie posizioni più pericolose, quella nei confronti delle istituzioni europee; così come ha abbandonato le idee più dissennate anche in politica economica. Anche sulla questione della riforma costituzionale, decidemmo di votare a favore del taglio dei parlamentari (una riforma non completa, per chi aveva sostenuto nel 2016 una riforma più organica e molto più convincente) con l’obiettivo di evitare danni maggiori: negoziammo allora con il M5S lo stop alla proposta per introdurre il vincolo di mandato e lo scempio del referendum propositivo, così come una serie di correttivi che sono progetti di legge all’ordine del giorno del parlamento (elezione del Senato non su base regionale; riequilibrio delle quote per l’elezione degli organi di garanzia; parificazione dell’età dell’elettorato attivo tra Camera e Senato). Anche nel caso della riforma costituzionale, ottenemmo allora una correzione delle posizioni anti-parlamentariste che fino a quel momento aveva il M5S. La ragione del mio sì alla riforma costituzionale è quindi una ragione eminentemente politica. Se noi votassimo no, e lasciassimo Lega e M5S a votare per il sì, salderemmo nelle urne di nuovo quei due populismi, proprio sul terreno più scivoloso per l’Italia che è l’antipolitica. Dobbiamo tenerli divisi, e dobbiamo fare sì che la Carta non venga stravolta negli equilibri tra poteri.
➡️ NON FINISCE QUI
Con il voto per il sì non si ferma la spinta a cambiare le istituzioni: dobbiamo continuare a portare avanti proposte e battaglie per una modifica più complessiva delle nostre istituzioni. La proposta che ha fatto Nicola Zingaretti, di iniziare a raccogliere le firme tra i cittadini per un progetto complessivo di superamento del bicameralismo paritario è un modo per contrastare in radice l’idea che l’unico modo di migliorare le istituzioni sia tagliarle.
Non voto sì perché penso che i parlamentari siano troppi. Quello numerico è un non-criterio, non dice nulla su come funziona una istituzione. Un parlamento funziona bene se ha gli strumenti per farlo e se è saldo il suo mandato di rappresentanza delle esigenze dei cittadini.
⚠️ CONTRO L’ANTIPOLITICA
Per questo, oltre alla proposta di superamento del bicameralismo paritario, ho chiesto che il Pd si impegni su due fronti, più vicini e immediati. Da un lato chieda al presidente della Camera e alla presidente del Senato di non piegarsi alla propaganda di chi racconta che con i risparmi derivanti dalla riduzione dei parlamentari (81 milioni annui) si risolvono i problemi della finanza pubblica italiana (più di 2mila miliardi di debito). Dobbiamo chiedere che, per avere istituzioni funzionanti e non semplicemente menomate, nel momento in cui dovesse vincere il sì, si usi una parte delle risorse derivanti dalla riduzione dei parlamentari per far funzionare meglio il parlamento. Meno parlamentari, vuole dire più lavoro, nelle commissioni e sul territorio, e più rischi di finire nelle mani di interessi particolari o della burocrazia. Si usi una parte dei soldi risparmiati anche per dare migliori strumenti, cioè persone qualificate (esperte di comunicazione, di politiche pubbliche, di diritto), che aiutino i parlamentari a esaminare leggi, proporre iniziative, verificare le azioni del governo, fare iniziative di ascolto nel territorio. Così come avviene in ogni parlamento di ogni altro paese occidentale (i parlamentari tedeschi per esempio hanno uno staff composto di 3-4 persone a Berlino e altrettante sul territorio). Si paghino queste persone come fa il Parlamento europeo, attraverso un albo pubblico e con livelli di stipendio fissati, legati a qualificazioni e anni di esperienza. Insieme a 20 deputati, lo avevamo chiesto all’indomani del voto parlamentare sul taglio al presidente Fico con una lettera, a cui lui non aveva risposto. Ora torneremo a chiederlo, e sarebbe bello che il PD facesse questa proposta negli organi deputati.
Secondo punto: la quantità dei parlamentari non ne fa la qualità. La qualità dei parlamentari è determinata da come vengono eletti, cioè da che legame mantengono con i propri elettori. Un bravo parlamentare è un politico che esercita il proprio mandato in nome e per conto dei cittadini che lo hanno eletto. I quali cittadini devono conoscerlo, poterlo raggiungere, tirargli le orecchie, fargli arrivare suggerimenti. E devono avere chiaro che hanno il potere di riconfermarlo oppure di votare un’altra persona. Questo legame si crea con la legge elettorale. Vorrei che il PD si impegnasse per avere una legge elettorale in cui i cittadini possono decidere direttamente chi mandare in Parlamento, o con il meccanismo dei collegi o con le preferenze. In questo modo si potrà selezionare bravi parlamentari dedicati. In assenza di un chiaro meccanismo di scelta dei parlamentari da parte degli elettori, troverei difficile votare la legge elettorale”. Referendum, Quartapelle: perchè voto sì. Noi dell’osservatore continueremo a proporvi sia argomenti a favore che contro, per quanto reputiamo l’iniziativa di Di Maio utile quanto uno slittino in mezzo al mare.