Twitter-Libero: nazionalizzare i social o smetterla con polemiche inutili. Siamo tutti d’accordo che è brutto quando la libertà di espressione viene intaccata, perché sulla libertà di parlare (pure di straparlare) si base gran parte della cultura europea moderna. E allora la decisione di Twitter di limitare l’account del quotidiano Libero è senz’altro negativa come principio ma la nostra posizione resta sul caso Twitter-Libero: nazionalizzare i social o smetterla con polemiche inutili. Twitter come tutti i social è un’azienda privata, con regolamenti precisi che vengono sottoscritti. E’ vero che quasi nessuno per una deformazione mentale guarda cosa sta firmando, ma ciò non esime dalle proprie responsabilità: le regole dicono che se ti comporti in un certo modo, possono chiuderti il profilo. Contestabile? Forse. Ma Libero, come il Manifesto e tanti altri si sono spesso comportati come l’amico che per non sentirsi oppresso dalle regole dell’ospitalità pretende di urinare nel lavandino e non in bagno per confermare la sua libertà di agire come gli pare. Certi titoli e certi articolo vengono scritti apposta per dare scandalo, inutile e disonesto negarlo. E noi siamo convinti che facciano bene. E che debbano farlo. Ma non che possano pretendere di imporre ad altri ciò che non accetterebbero per loro. A meno che non si cambino le regole e gli Stati tornino a una logica più da Stati e impongano il controllo sui social alle aziende. La Cina non è si è posta il problema: qualunque contenuto internet è sotto il controllo statale perché lo Stato presidia lo spazio virtuale così come presidia le frontiere. Certo è pericoloso, perché la deviazione degli Stati dal controllo per la giustizia a quello per l’ingiustizia è facile. Però avremmo dei veri responsabili. Chi degli indignati conosce il nome degli amministratori o dei proprietari di Twitter? Quasi nessuno. Allora il problema forse è aver delegato la propria libertà di espressione ad aziende private, pretendendo che si comportino come una proprietà statale. Tra l’altro tralasciando sempre che le suddette aziende non esistono per garantire la libertà di espressione, ma per ottenere dati sulle persone e venderli ad altre aziende. Ma anche questo si scontra con l’imbecillismo del dibattito pubblico. Quindi di cosa stiamo parlando?