L’Italia s’è desta. E s’è desta sul tetto d’Europa. Sfidando proprio quegli inglesi che hanno sempre avuto un atteggiamento ambiguo con il Continente. Gli stessi che non hanno mai aderito all’euro e sono stati i primi a sfilarsi dall’Unione che ha garantito 80 anni di pace a uno dei continenti più martoriati dalle guerre. E gli stessi che non riescono a vincere nemmeno nello sport che hanno inventato. Allora addio ai monti, ma soprattutto agli inglesi. Non ci mancheranno, perché l’Italia dello sport ha ripreso fiato e forza dopo essere stata devastata dagli ultimi allenatori. E l’Italia politica è esattamente come quella calcistica di quattro anni fa: esce da una serie di allenatori sbagliati, condita da protagonismi inutili o dannosi alla Balotelli e sembra non avere campioni né prospettive. Però ora ha appena riscoperto che con il duro lavoro di gruppo si può arrivare a battere qualunque avversario. Che si chiami crisi economica, Sars-Cov-2 o altro: stretti a coorte, come recita l’Inno nazionale, possiamo vincere. Arrivare in fondo a questa competizione calcistica è stato importante, non bello. Perché è stata proprio un’Italia che si è guadagnata ogni partita con una strenua difesa e attacchi rapidi e fatali. Ma spesso è finita ai rigori, perché non c’è un Mbappé nell’Italia, semmai Immobile. Siamo mediamente scarsini nelle selezioni nazionali, che siano calcistiche o politiche, ma con voglia di soffrire e di guadagnarsi fino all’ultimo rigore. E, sarà un caso, ma una delle risorse più importanti è stata un ragazzone chiamato Donnarumma. Perché i giovani servono, checché ne pensino alcuni, più che a fare fotocopie. Anzi. Possono essere fondamenta importanti per rilanciare una squadra ormai bollita. Senza un grande portiere non avremmo vinto, ma nemmeno senza il resto della squadra. Allora festeggiamo l’Italia che si è desta. E speriamo che sia di buon auspicio per il futuro, perché ci aspettano anni faticosi. Ma se sapremo viverli con lo stesso spirito potremmo risvegliarci in un momento migliore.