di Biagio Maimone – Si può affermare, senza paura di essere smentiti, che la questione meridionale, oggetto di accesi dibattiti politici, nel corso di lunghi decenni, resta ancora aperta. Pagine di storia percorse dall’anelito all’unificazione di due territori, il Nord e il Sud Italia, espresso da eminenti politici, filosofi e storici , testimoniano una crepa mai risanata presente nella penisola italiana. Testimoniano, anche, da un lato, la lontananza dello Stato italiano dal Sud Italia, dall’altro, la responsabilità del popolo meridionale rispetto ad una presa di posizione incisiva relativamente al proprio sviluppo socio-economico, nonché politico. Pertanto, non si può negare che la questione meridionale interpelli le coscienze sia dello Stato italiano, sia del popolo meridionale, che ha dimostrato palese disinteresse rispetto alla propria emancipazione. Perché tanto disinteresse? Ad un’analisi approfondita di carattere storicistico tale disinteresse sembra non essere nato dal caso. Per comprendere il fenomeno nella sua profondità occorre domandarsi : ” A quale potere rispondeva il popolo meridionale ? Forse non allo Stato italiano ? Ed, inoltre, a chi chiedeva di essere rappresentato ? Forse non allo Stato italiano?”. Certamente, vi era e vi è un altro potere non manifesto a cui le popolazioni del Sud Italia facevano e fanno ancora oggi riferimento. E’ la cosiddetta “mafia”, se, in tal modo, vogliamo definire l’esistenza di un potere contrapposto allo Stato italiano, ossia quel potere che ha in mano le sorti del Sud Italia. Difatti, storicamente e politicamente, appare un paradosso che lo Stato italiano abbia lasciato l’Italia divisa in due, proprio in quanto la penisola italiana è troppo piccola. Dal sorgere della Costituzione italiana l’intento di secessione sembra avere il sopravvento sull’intento unificatore del Nord e del Sud Italia. Per alcuni le ragioni di tale divisione sembra possano ricercarsi nell’ambito delle diverse culture che sorreggono la mentalità del popolo del Nord rispetto al popolo del Sud, ossia il pragmatismo , la voglia di fare, l’impegno concreto del Nord contro una visione della realtà in termini di fatalismo, propria del Sud, che attribuisce la propria rappresentanza a soggetti il cui potere, senz’altro rilevante, non è formalizzato, ma agisce sotterraneamente in quanto ne trae benefici di immensa portata. Ma la mafia non è la mafia di alcuni anni fa. Neppure si può definire ancora mafia. Il potere occulto si è emancipato e vuole governare alla luce del sole in quanto ha raggiunto gli scranni del potere politico ed economico che è il vero potere. La mafia non esiste più, esiste il potere economico. Ciò non potrà non determinare un cambiamento storico senza precedenti che vedrà sorgere l’stanza di rendere paritaria l’economia del Nord e del Sud, di rendere omogenei il Settentrione ed il Meridione d’Italia, sia sul piano politico, sia sul piano economico. Ed ecco un nuovo impegno per lo Stato italiano: quello di rilanciare l’economia del Sud Italia. Tale impegno è indiscutibile che debba porre tra le azioni prioritarie la creazione di lavoro. Creare lavoro significa industrializzare il Sud Italia, ossia far nascere imprese o rendere proficuo allargare il proprio raggio di azione nei territori del Sud alle aziende già affermate nel Nord Italia, attraverso azioni mirate di incentivazione, che si potrà esplicare mediante una oculata politica di detassazione dei costi del lavoro. Il Sud Italia, difatti, si svilupperà solo creando lavoro. Lavorare, infatti, significa percepire un reddito che permette di affrontare le esigenze economiche primarie , nonché godere dei diritti connessi alla vita lavorativa,disciplinata da ben precise leggi dello Stato.
Il lavoro, inoltre, permette lo sviluppo della personalità del cittadino, il suo inserimento a pieno titolo nel contesto sociale , la sua crescita professionale, la realizzazione dei suoi progetti di emancipazione. Il Sud Italia non vi è dubbio che possegga le carte in regola per recepire un progetto di industrializzazione che crea lavoro, grazie anche all’elevata scolarizzazione delle nuove generazioni che non accettano l’indolenza dei propri genitori , pervasi da una nuova cultura della vita. Essi accoglieranno e faranno propria la creatività dell’imprenditoria, che, calata nella realtà del Sud Italia, saprà generare una nuova visione della vita tale da superare la stasi in cui esso è immerso attualmente. Alla luce ditali riflessioni non si può ritenere il reddito di cittadinanza una misura finalizzata alla lotta alla povertà, proprio in quanto esso si configura come un esiguo aiuto temporaneo, di esigua consistenza. Esso, difatti, non crea lavoro, non sviluppa economia, non elimina, pertanto, la piaga della disoccupazione e, per tale motivazione, non mira allo sviluppo della personalità e della dignità umana. Occorre creare lavoro e non temporanei palliativi. I tempi sono maturi per il riscatto del Sud Italia in virtù del fatto che il processo di globalizzazione ha creato nuovi contesti , nuove dinamiche e nuovi spazi partecipativi, nei quali si inseriscono le popolazioni di tutto il mondo ed anche popolazioni, da sempre, vissute in terre depresse e molto povere. Anche il Sud Italia può introdursi in tali spazi innovativi e produttivi di benessere ,esplicando le proprie migliori energie, senza timore che qualcuno le possa reprimere per il proprio tornaconto personale ed il proprio personale arricchimento.
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