Le molte, forse troppe, svolte politiche di Beppe Sala

Le molte, forse troppe, svolte politiche di Beppe Sala. Beppe Sala ha annunciato la propria svolta politica, l’ennesima, aderendo ai Verdi Europei, una galassia ecologista che ha ottenuto importanti consensi in alcune nazioni del nord Europa, meno in Italia. La sua decisione ha gettato nel panico coloro che – non conoscendolo bene – da lui si sarebbero aspettati riconoscenza, per il sostegno politico nei propri confronti in questi ultimi anni. Al di là delle dichiarazioni di circostanza da parte di molti esponenti politici del PD meneghino, la cosa non è stata gradita per nulla, anche perché arrivata in concomitanza dell’assemblea nazionale del PD, convocata per nominare il nuovo segretario dopo le dimissioni di Zingaretti. Significativa la reazione all’annuncio di Sala da parte di Luigi Corbani, ex vicesindaco di Milano, con un post su Facebook: “Il giorno prima della assemblea nazionale del PD, trovo la intervista del sindaco di Milano su “Repubblica” di ieri, abbastanza offensiva verso il PD e gli elettori del PD che lo hanno sostenuto in questi anni, e con pazienza immensa hanno sopportato per dieci mesi il tira e molla sulla sua ricandidatura. (mi candido o non mi candido? farò sapere). Che cosa vuol dire “Verde europeo”? In quest’anno di tribolazioni per il Covid, dove era il Comune di Milano? Si è nascosto dietro la competenza nazionale e regionale, ma i cittadini sono milanesi e non hanno gli ospedali a 15 minuti, e non hanno avuto nel Comune sia per la sanità che per le questioni economiche una sponda, un punto di riferimento. Non bastava Salvini col rosario e l’invocazione della Madonna, ci voleva anche il Sindaco con la preghiera laica alla Madonnina?   La salute dei milanesi non è parte di una politica ambientalista ed ecologista? E dove è la politica ambientalista del Sindaco in questi anni? Le piste ciclabili? Le aree ferroviarie? L’area C e B? Il Pirellino e la Torre botanica?  E che destino avranno le aree di Città Studi? Ma c’è una cosa che in questi cinque anni ha contraddistinto la politica comunale? Sono veramente stupito o meglio allibito da dichiarazioni superficiali e da un partito che subisce un trattamento da zerbino (fra l’altro, qualche tempo fa aveva dichiarato che sceglieva lui il successore, come se fosse un monarca)”.

State tutti tranquilli, Beppe Sala è fatto così, ha cercato di scalare il PD, non ci è riuscito perché non glielo hanno permesso, ora ci prova con un’altra forza politica che, al contrario del PD, ha bisogno di un leader, di un Ronaldo, come è stato definito dai verdi. Sala non è uomo che si accontenta facilmente, è uno che, quando si parla di carriera, da pragmatico qual’è, non fa sconti a nessuno, perseguendo i propri obiettivi in modo scientifico. Basti dare una breve occhiata al suo curriculum personale per capire di che pasta è fatto: assunto nel 1994 come direttore del controllo di gestione e della pianificazione strategica del settore pneumatici di Pirelli, ricopre altri più importanti incarichi all’interno dell’azienda; tra il 2003 e il 2006 ricopre la carica di direttore generale di Telecom Italia; nel 2009 di direttore generale del comune di Milano; successivamente, di presidente di A2A; Infine, nel 2013, di commissario unico delegato del governo per l’EXPO, nominato dal premier Enrico Letta che, come tutti ricorderete, poi verrà spodestato da Matteo Renzi, nel febbraio 2014, con un breve passaggio di campanella.

Una carriera da top manager, quella di Sala, che prosegue anche dopo il cambio di vertice tra Letta e Renzi, infatti, Renzi abbraccia la causa Expo, non lo sostituisce con un altro manager, anzi lo sostiene con forza. Basti solo rammentare le dichiarazioni entusiastiche del Premier Renzi, riportate da un articolo del Fatto Quotidiano, datato 27 aprile 2015, a pochi giorni dall’apertura dei cancelli dell’esposizione internazionale: “Siamo a quota dieci milioni di biglietti venduti. I padiglioni sono molto belli. Che forte l’Italia che non si rassegna”.

In questa prima fase “politica” della sua carriera, come possiamo notare, Beppe Sala, passa con nonchalance dal centro destra di Letizia Moratti, al centro sinistra di Enrico Letta, per poi schierarsi con Matteo Renzi, nemico giurato di Letta.

E’ proprio durante lo svolgimento di Expo che Sala, spinto con forza da Renzi, al quale non poteva certo dire no, accetta la proposta di candidarsi a sindaco di Milano, una volta finito Expo.

L’occasione concreta per entrare in politica è scandita da due circostanze, tra loro avulse ma complementari. La prima, è la decisione di Giuliano Pisapia di non ricandidarsi, come d’altronde aveva promesso di fare, lasciando così il posto vacante, altrimenti Sala non avrebbe trovato spazio per candidarsi a Milano. La seconda, è proprio la sponsorizzazione diretta di Matteo Renzi che, in un momento di grande consenso popolare e “prepotenza” politica, volendo piazzare uomini e donne fidati in tutte le istituzioni (locali e nazionali), decide che Sala deve diventare sindaco di Milano, e lo appoggia con determinazione durante le primarie del centro sinistra, durante le quali Sala non si risparmia. Degna di nota è, infatti, la “conversione” di Sala al comunismo, infatti, pur di ingraziarsi la parte più radicale dello schieramento di centro sinistra, critica sulla sua candidatura, pubblica un’immagine su Istagram che lo ritrae nelle vesti di Che Guevara, con tanto di “Hasta la victoria siempre”.

Sala vince le primarie contro Francesca Balzani e Pierfrancesco Majorino, e Il 19 giugno 2016 viene eletto sindaco di Milano. Pochi mesi dopo, novembre 2016, calava il gelo tra Sala e Renzi a seguito della “scomparsa” dalla legge di bilancio dei fondi per la liquidazione della società Expo, e il trasferimento del campus della Statale sull’area dell’ex sito espositivo. Sala, da tempo, aveva fiutato la fase di declino di Renzi, in difficoltà per avere voluto forzare la mano sulla riforma costituzionale, cosiddetta “Renzi Boschi” (che si prefiggeva il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL, e la revisione del titolo V° della parte II^ della Costituzione). Renzi perdeva e si dimetteva, Sala tirava un bel sospiro di sollievo, anche se, a onore del vero, Sala si era già smarcato da Renzi già dal settembre 2016, quando, in occasione della festa dell’Unità di Milano, aveva dichiarato: “Io non sono renziano, anche se apprezzo Renzi e non voglio affossare Renzi. Ma voglio essere giudicato in un altro modo, se quello che faccio è di sinistra oppure no. Io penso che lo è. E penso di essere di sinistra”.

Dopo Renzi arriva Gentiloni, Sala apre un canale con il premier e, nel marzo del 2017, ottiene dal governo Gentiloni un finanziamento di quaranta milioni, la riqualificazione e lo sviluppo delle periferie, della mobilità e degli ex scali ferroviari.

Tra il 2019 e il 2020, assistiamo a un periodo di “confusione politica”, inaugurata da un lungo periodo di “riflessione” (durato una decina di mesi), su un’eventuale ricandidatura a sindaco di Milano che, dopo le dichiarazioni dello stesso Sala, aveva prodotto sconforto in tutto il centro sinistra milanese: “Se potrò farlo io perché ho le motivazioni, la forza, la salute per farlo credo che, con un po’ di arroganza, nessuno come me può farlo ma devo sentirmi in condizione per prendere questa sfida”.

Sono in molti a pensare che Sala abbia tenuto in ostaggio il centro sinistra per altri motivi, in particolare, per quell’idea, mai sopita, di ambire ad altri e ben più importanti incarichi: leader del centro sinistra, premier, ministro nel governo Conte, capo della costituenda TIM 2 (emblematico in questo caso il rapporto di amicizia e identità di vedute politiche tra Sala e Grillo).

Nell’estate del 2020, Beppe Sala stupisce ancora la sinistra milanese con la pubblicazione del libro “Società per azioni”, in cui accenna a una sinistra che deve cambiare perché ci sono spazi enormi. Sala dichiarava: “La sinistra perde la sua identità nel momento stesso in cui accede al potere”. Continuava, affermando che occorreva diminuire le distanze sociali e di riscoprire un termine ormai relegato ai libri di storia: “Dico che il socialismo non appartiene alla storia, ma all’avvenire. Solo in Italia è considerato una parola morta”. Mentre accadeva tutto ciò, Sala assumeva le vesti del radical chic, facendosi ritrarre e intervistare in più occasioni, alla maniera di Barak Obama, e iniziava una vistosa interlocuzione con Beppe Grillo che fece immaginare ai più scenari che poi non si sono avverati.

Ma veniamo ai nostri giorni.

Dopo mesi di agonia per le forze del centro sinistra, Beppe Sala, il 7 dicembre 2020, annunciava ufficialmente la sua ricandidatura a sindaco di Milano, rasserenando tutti i leader della coalizione che, galvanizzati dalla scelta del proprio leader, si lanciavano immediatamente in progetti, proposte, candidature, organizzandosi persino in comitati elettorali, pronti a contribuire alla riconferma di Sala, anche in salsa radicalchicchista, mediabarakkista, socialsocialista, beppegrillista, pseudoprogressista, anche un po’ timaziendalista e, persino, ecogretista, senza sapere che, mentre loro si stavano preparando, lancia in resta, alla pugna, Sala aveva già deciso di fare altro, abbandonare compagni e bandiere rosse, per entrare a far parte della famiglia dei Verdi Europei. D’altronde era da tempo che Beppe Sala aveva compreso le potenzialità della galassia ecologista, non a caso aveva studiato e condiviso le tesi del movimentoFridays for future”, di Greta Thunberg.

Sala, prima di prendere la decisione finale, non aveva perso d’occhio il panorama nazionale, stando attento alle dinamiche interne del PD e, una volta compreso chiaramente che lì dentro non c’era trippa per gatti, da ottimo “camaleonte”, come lo hanno definito molti politici in questi giorni, con un guizzo repentino, ha mollato il PD al proprio destino, candidandosi a divenire il punto di riferimento nazionale e internazionale della transizione ambientale che, rammento, rappresenta anche una grossa fetta dei fondi destinati all’Italia dal Recovery Plan.

Sala, infine, in questi giorni, non poteva non prendere atto della mutazione delle condizioni in cui si sarebbe svolta la campagna elettorale per le amministrative a Milano. Da breve e quasi sicuramente vincente, a lunga, faticosa, snervante e maggiormente insidiosa. Non a casa è corso subito ai ripari, tirando il freno a mano: “Rallenterò la campagna elettorale”.

Con la dilatazione dei tempi del voto amministrativo, il vantaggio di Sala potrebbe erodersi, e dare maggiori chances al centro destra che, con lo slittare delle elezioni in autunno, ha molto più tempo per chiudere la complessa partita interna alla coalizione, sulla scelta dei nomi dei candidati da proporre in molte importanti città italiane. E di questo Sala è ben cosciente.

Ora tutto si complica, anche per un candidato forte come Sala che, nei prossimi mesi, dovrà fare i conti, quelli veri, con gli esiti nefasti della pandemia, che metteranno in evidenza le falle nella gestione politica della città di questi ultimi cinque anni. La faccenda si complica anche per gli inevitabili mal di pancia a sinistra, perché la decisione di Sala di cambiare orizzonte politico, comporta delle conseguenze fino ad ora impreviste, infatti, in caso di vittoria del centro sinistra, la coalizione dovrà fare i conti con una riduzione degli assessorati a disposizione, perché alcuni scranni, indipendentemente dai consensi numerici dei partiti, dovranno essere assegnati ai Verdi Europei, a meno che…