Quei 35 tuffi vietati all’Idroscalo dai sommozzatori. Sono stati oltre cinquanta gli interventi del Nucleo Sommozzatori della Polizia locale all’Idroscalo di Milano durante la stagione estiva. Ben 35 sono stati per vietare la balneazione e i tuffi di ragazzi dai ponti che collegano l’isola. Un’estate senza tuffi è l’immagine della nostra società, per questo ne parliamo. Non certo per sminuire il lavoro dei sommozzatori, anzi: 4 interventi con assistenza di primo soccorso per persone infortunate, 8 recuperi di canoisti in difficoltà a causa del rovesciamento delle proprie imbarcazioni, 3 assistenze a velisti a causa del forte vento, un recupero in acqua di un cane che stava rischiando di annegare, la messa in sicurezza di un pontile non sono poca cosa. Ma quei 35 tuffi vietati all’Idroscalo dai sommozzatori sono invece l’immagine di una società in ginocchio: tutti vogliamo una vita più sicura possibile, ma arrivare a vietare i tuffi per i rischi che si corrono è un suicidio. L’unico stile di vita certo, per altro non al cento per cento, è stare seduti in poltrona. Appena si mette un piede fuori si rischia qualcosa. Anche di farsi male o di non tornare, ma è necessario per vivere. La vita stessa è un rischio. Come l’utilizzo degli spazi pubblici, ma chiuderli per preservarli è un’idiozia. Come non camminare perché se no le scarpe si consumano. Eppure siamo arrivati a questo: a vietare i tuffi ai ragazzi da un pontile. Non da un grattacielo, da un pontile o trampolini appositi. Perché poi c’è il rischio che la famiglia intenti causa contro la struttura? E non esistono assicurazioni apposite? Forse dovrebbero, perché i tuffi sono importanti. Sono un gesto semplice e liberatorio. Uno di quelli di cui abbiamo compreso l’importanza durante la quarantena. Quei 35 tuffi vietati all’Idroscalo dai sommozzatori sono una resa. Non dell’Idroscalo e basta, ma di tutti perché chi mai potrebbe sostenere il diritto al rischio? Una posizione tanto impopolare da essere al limite della legalità di questo inizio secolo.