Muore Scalfari muore il governo. Come tutti i grandi uomini sembra infatti che anche Eugenio Scalfari abbia segnato la storia della Repubblica pure morendo. Con la sua dipartita si è squagliato il governo che per l’ennesima volta aveva visto collaborare forze politiche in teoria di segno opposto. Diciamo in teoria perché di fatto sui grandi temi sono tutti d’accordo. Fanno davvero simpatia, se non fosse grave per la libertà italiana, i titoli dei giornali che oggi ci dicono “PNRR a rischio”, “taglio del cuneo fiscale a rischio”, come se esistesse una singola formazione politica davvero contraria a portare avanti il Piano nazionale di ripresa e resilienza. O a tagliare le tasse sul lavoro. Prodi di cuneo fiscale ne parlava nei primi anni 2000 e a quanto pare ne stanno parlando ancora ora, quindi forse nessuno lo ha fatto. Lo Scalfari direttore di Repubblica lo avrebbe scritto. E avrebbe costretto pure le altre testate a essere più oneste intellettualmente. Magari pure più dure, ma più oneste. Ma oggi la politica e il parlamento sono stati svuotati di significato e di potere. L’avvento di persone sempre più inette ha poi svilito tanto il giornalismo quanto l’attività politica in favore di chi controlla i soldi. Ma questo è argomento per altri articoli. Oggi si parla di Scalfari: una figura che ha saputo cambiare la storia del giornalismo italiano, piaccia o meno per chi e come lo ha fatto. Tutt’oggi Repubblica è un punto di riferimento e anche se è stata venduta agli Agnelli, rimarrà nella storia come il giornale fondato da Scalfari. In uomo in grado di vivere tra i grandi del suo tempo come loro pari, diventando il vecchio saggio del giornalismo di sinistra. Oggi in tanti lo celebrano, pure ricordando che le radici della sua storia affondano nel Ventennio rifiutato della storia del Paese (la foto in copertina è presa da un libro di Bruno Vespa). Ma è questo l’effetto dei grandi uomini: di loro si comprende pure ciò che non viene ritenuto accettabile per altri. E quando scompaiono cadono persino i governi.