Trafugati e recuperati: l’Italia restituisce al Pakistan sette preziosi reperti archeologici del Gandhara

Trafugati e recuperati: l’Italia restituisce al Pakistan sette preziosi reperti archeologici del Gandhara. Sette opere d’arte trafugate illegalmente da siti archeologici pakistani sono state restituite ufficialmente al Pakistan nel corso di una cerimonia che si è tenuta presso il Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Milano. A riceverle, il Console Generale della Repubblica Islamica del Pakistan, Aqsa Nawaz, accompagnata da una delegazione del consolato e da rappresentanti del Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza.

I manufatti, di straordinario valore culturale e storico, appartengono alla tradizione buddhista della regione del Gandhara, nell’area nord-occidentale del Pakistan, nota per essere stata uno dei più importanti centri dell’arte greco-buddhista tra il I e il V secolo. Le opere erano state illegittimamente sottratte dal loro contesto originario e introdotte nel circuito del collezionismo internazionale, fino a finire nella disponibilità di un gallerista milanese.

Il recupero è il risultato di un’attività investigativa complessa, scaturita da un controllo antiriciclaggio condotto dai militari della Guardia di Finanza nei confronti di una galleria d’arte di Milano. Durante l’ispezione presso l’abitazione del titolare — contestualmente a verifiche di carattere fiscale — i Finanzieri del Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria di Milano hanno rinvenuto numerose opere d’arte, tra cui i sette reperti poi riconosciuti come parte del patrimonio archeologico pakistano.

In quella sede, sono emerse gravi anomalie documentali, in quanto per molte opere non era possibile ricostruire in modo trasparente né la provenienza né la legittima detenzione. Questo ha innescato una più ampia indagine coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano, che ha coinvolto anche le Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Milano, Cremona, Lodi e Mantova.

A seguito di analisi tecniche e storiche, le Soprintendenze hanno classificato 33 opere come beni di “interesse nazionale”, ponendo su di esse vincoli che ne impediscono l’esportazione o la vendita a soggetti stranieri, e attivando i procedimenti di notifica previsti dalla legge.

Parallelamente, il caso è stato preso in carico anche dal Nucleo Carabinieri Tutela Patrimonio Culturale di Monza, competente per la tutela del patrimonio archeologico nazionale e internazionale. I Carabinieri hanno svolto ulteriori accertamenti tecnici, avvalendosi anche della banca dati “Leonardo”, uno strumento digitale specializzato nella catalogazione di opere rubate, gestito dallo stesso comando del TPC.

Una volta confermata l’origine pakistana dei sette reperti gandharici, è stata informata la rappresentanza diplomatica del Pakistan, affinché potesse attivare le procedure ufficiali per la rivendicazione e la restituzione delle opere.

Oltre all’aspetto culturale e investigativo, le indagini hanno aperto un fronte parallelo sul piano economico-finanziario. Il titolare della galleria risulta infatti aver accumulato un debito nei confronti del Fisco italiano superiore ai 400.000 euro, con evidenti discrepanze tra il profilo reddituale dichiarato e il valore del patrimonio artistico detenuto.

Le autorità precisano che il procedimento penale è ancora nella fase delle indagini preliminari, e che la responsabilità degli indagati potrà essere eventualmente accertata solo con una sentenza irrevocabile di condanna.

La riconsegna ufficiale dei beni culturali, autorizzata dall’autorità giudiziaria italiana, si è tenuta nei giorni scorsi presso la caserma di Via Fabio Filzi, alla presenza della console Aqsa Nawaz e degli ufficiali della Guardia di Finanza. Un gesto simbolico ma anche profondamente politico, che riafferma l’impegno congiunto di Italia e Pakistan contro il traffico illecito di beni culturali, una piaga globale che depreda la memoria dei popoli e arricchisce circuiti criminali transnazionali.

“Il valore di questi reperti non è soltanto economico — spiegano fonti investigative — ma storico e identitario. Restituirli significa ristabilire un equilibrio violato e riaffermare il principio che l’arte non è merce, ma memoria collettiva.”