E’ Domenico Livrieri, 46 anni che ha ucciso Marta Di Nardo 60enne sua vicina di casa

Il primo, e unico, cedimento lo ha avuto quando ormai era notte. Giacca blu addosso, testa poggiata al vetro dell’auto, ai carabinieri che lo stavano portando in carcere, ha abbozzato poche parole. Ma da brividi. “L’ho uccisa con una coltellata alla gola”, ha detto. Poi pare si sia richiuso nel silenzio. Come aveva fatto per quasi tutto il pomeriggio di venerdì, mentre i militari rivoltavano casa sua, un piccolo bilocale nella scala C al civico 14 di via Pietro da Cortona, all’Acquabella. Seduto sui gradini del palazzo – la stessa giacca blu addosso, un paio di jeans e le scarpe rosse ai piedi -, aveva atteso che gli investigatori finissero il loro lavoro. Forse certo di farla franca. “Non so che volete da me, non ne so niente, qui non c’è niente. Non trovate niente”, aveva assicurato. Mentiva, sapendo di mentire.

Il suo castello di bugie è crollato alle 19.25, quando gli uomini del nucleo investigativo hanno visto quelle due ante che chiudevano un soppalco sopra la piccola cucina, che in realtà neanche esiste più perché sostituita da un mobiletto con un fornello da campeggio poggiato sopra. È bastato aprire quelle ante per aprire una porta sull’orrore. Da quella controsoffitta a poco più di due metri da terra è uscito un fagotto di coperte che avvolgevano un corpo tagliato a metà. Il corpo di Marta Di Nardo 60 anni, sua vicina di casa, con un appartamento nella scala D, proprio difronte a quella dell’uomo che sarebbe diventato il suo killer. I carabinieri la cercavano dal 17 ottobre, quando il figlio della donna – che aveva pochi, pochissimi rapporti con la madre – ne aveva denunciato la scomparsa alla compagnia Porta Monforte. Quel giorno i vigili del fuoco avevano fatto due diversi accessi nell’abitazione, entrando dalla finestra al quarto piano, e non aveva trovato tracce della vittima.

Qualcos’altro, però, sì. Sul tavolo in cucina, infatti, erano stati visti degli avanzi di cibo e, soprattutto, un referto di un intervento del 118 di quella stessa mattina, a nome del presunto killer: Domenico Livrieri, origini materane, 46 anni compiuti il 29 aprile. I pompieri hanno così scattato delle foto di quel foglietto bianco e le hanno consegnate ai militari della Monforte e del nucleo investigativo, guidati dal colonnello Antonio Coppola e dal tenente colonnello Fabio Rufino. I sospetti si sono inevitabilmente subito concentrati sul 46enne, che pare da un mesetto frequentasse la donna. Due esistenze difficili, le loro: ludopatica con il vizio dei gratta e vinci e in cura al Cps lei, tossicodipendente, con precedenti e seguito dallo stesso Cps, lui.

Ora dopo ora, dal 17 ottobre sera, i carabinieri hanno iniziato a stringer piano piano il cerchio attorno a Livrieri e analizzando i tabulati del telefono suo e della vittima hanno scoperto che l’ultima chiamata ricevuta da Marta, alle 8.29 del 4 ottobre mattina, era arrivata proprio dall’uomo. Venerdì, la svolta. Gli investigatori, dopo aver fatto accesso nell’appartamento della 60enne, sono entrati nel bilocale del presunto assassino: un bagnetto, un disimpegno, una zona cucina e una camera da letto. È bastato testare la stanza con il luminol per verificare l’importante presenza di tracce di sangue sulle lenzuola. Neanche lì però il fermato è crollato. Ha continuato a dire di non sapere nulla. Fino a quando, mentre ormai fuori era buio, nel soppalco è stato trovato il cadavere  depezzato della vittima, messo lì probabilmente proprio dal 4 ottobre, 16 giorni prima.

Il medico legale che ha ispezionato il corpo, in avanzatissimo stato di decomposizione e tranciato alla vita, ha segnalato alcune ferite alla gola, che effettivamente potrebbero essere compatibili con una coltellata, ma risposte più precise arriveranno dall’autopsia. A quel punto, alle 21.09, il sospettato è stato caricato in auto e portato in caserma, dove all’una men un quarto – e senza interrogarlo perché non era nelle condizioni di parlare – il pm Leonardo Lesti ha disposto il fermo di indiziato di delitto per omicidio volontario, soppressione e vilipendio di cadavere. Neanche lì ha detto granché, ha chiesto di mangiare, ha cenato con delle pennette ed è apparso molto poco lucido. Cosa sia scattato nella testa di Livrieri – con precedenti per furto, rapina e violenza sessuale – è impossibile da sapere, al momento. In casa sua i carabinieri hanno sequestrato un Postamat, due Postepay e un libretto postale di Marta, nascosti nella tasca di un giaccone. Che l’abbia uccisa per soldi in un folle tentativo di intascare poi la sua pensione? Difficile, ma non impossibile. “Volevo il suo bancomat, mi spiace”, avrebbe ammesso.

Sempre nel bilocale del fermato, in un cassetto di una scrivania, è stato trovato il cellulare della Di Nardo, che aveva lasciato l’ultima traccia il 4 ottobre mattina in zona, il primo dettaglio che aveva subito lasciato pensare ai militari che quello della 60enne non fosse un allontanamento volontario. Il suo cellulare, invece, Livrieri lo aveva lasciato a un tassista il 16 ottobre, giorno in cui si era fatto accompagnare a Malpensa e aveva cercato di acquistare dei biglietti per la Francia, provando a pagare con due carte, probabilmente della stessa vittima. Fallito il tentativo, era tornato a casa in autobus e aveva lasciato il telefono in pegno al tassista dicendogli poi di contattare sua sorella per saldare il conto. E la Francia potrebbe non essere una scelta casuale, perché già in passato pare il 46enne fosse andato Oltralpe per cercare di sfuggire a dei guai giudiziari.

Guai da cui adesso appare difficile scappare. Investigatori e inquirenti hanno già sequestrato tutta la casa del presunto killer: stando a quanto appreso, all’interno ci sarebbero strumenti potenzialmente in grado di tagliare un corpo. L’uomo, in un folle piano che piano non era, sembra abbia quindi lasciato dietro di sé una serie molto lunga di indizi e tracce. Tanto che in molti nel palazzo – dove era “conosciuto” per i suoi modi aggressivi – lo avrebbero visto entrare e uscire, con le chiavi, da casa della vittima nei giorni in cui lei era già scomparsa. Cinque giorni dopo l’omicidio, la custode dello stabile gli avrebbe anche chiesto se avesse notizie di Marta e lui, glaciale, le avrebbe detto: “Non è tornata, però se torno vado io a curarla”. È verosimile che lui stesso abbia dormito e trascorso diverse ore nell’abitazione della donna, per “sfuggire” all’odore del cadavere che lui stesso aveva tagliato e nascosto.