La festa della discordia. Ormai da anni infatti il 25 aprile non rappresenta una festa della liberazione, se non la liberazione dallo spirito di comunità. Perché ogni singolo appuntamento annuale è preceduto da una serie di questioni: la prima e inevitabile più di altre è l’elenco di chi non può esserci. Perché di solito l’Anpi (ma non solo) inizia a dire chi può esserci e chi no. E già fa ridere così perché in Italia si può manifestare liberamente, quindi non avrebbe senso. Se poi si considera che nel 2022 hanno bandito le “bandiere Nato” che non esistono, a meno che non si considerino bandiere Nato quelle di chi aderisce all’alleanza e dunque sono vietate anche le italiane, fa ancora più ridere. Ma questa è solo la prima questione, perché poi ci sono le querelle relative alla brigata ebraica sullo stesso tenore. E poi quelle organizzative con la decisione dei percorsi e la lunga serie di patenti di fascista o antifascista che vengono elargite da chi in realtà non risulta abbia mai sparato a un fascista o nazista: i partigiani intesi come quelli che hanno combattuto con gli Alleati, ormai sono pochissimi per questioni ovvie di tempo. Eppure sono tra i protagonisti di continue contrapposizioni, specialmente per il 25 aprile. E non sono i soli, perché ormai le diatribe sono continue. Oggi poi che una parte di “sinistra” è in rotta proprio con l’Anpi per le sue posizioni ultra pacifiste sul conflitto russo-ucraino, le polemiche e polemicucce sono ancora più dietro ogni sasso. Perché la pace ultimamente non va di moda e dunque anche l’intoccabile Anpi diventa un nemico per molti giornalisti o opinionisti importanti. E così il carico della festa della discordia si appesantisce di una tonalità molto 2022. Perché non bastava avere una festa “di tutti” che per definizione in realtà è solo di una parte d’Italia. Ci voleva pure l’odietto in più per dare al rito del dividiamoci ancora un tocco particolare. Un po’ come il colore dell’anno alle settimane delle moda. Sarebbe una prospettiva bellissima immaginare un 25 aprile che sia il giorno della liberazione dalle divisioni interne, così da superare l’eterna voglia di distinzione tra guelfi e ghibellini che tanto appassiona soprattutto chi si giova delle divisioni degli italiani. Ma una prospettiva che non si realizzerà mai, perché questo è un Paese conservatore e ci sono troppi Don Rodrigo e Innominati. Buona festa della discordia. ancora una volta.