Uno dei più grandi deficit della nostra scuola, che ne conta molti in effetti, è quello dell’istruzione economica. Ogni anno i ragazzi affrontano legati all’ambiente, all’integrazione, alla pace nel mondo ed alla sopravvivenza dei gerbilli affetti da cataratta degenerativa, ma non hanno alcuna base teorica per decodificare la realtà. Quella vera. Quella dei mercati. Quella che deciderà il loro futuro lavorativo, quello delle loro pensioni e dei loro risparmi. Un giovane può arrivare a 24 anni senza alcuna nozione specifica in questo campo. Lo so per esperienza. A me è successo. Ecco perché libri come L’economia spiegata ad Irene sono fondamentali: ci aiutano a colmare dei gap che possono costare cari a tutta la società. Tanto per cominciare, possono portare all’elezione di Di Battista.
Come Le è venuta l’idea di scrivere questo libro?
Ascoltando tante sciocchezze, anche da parte di persone istruite, e addirittura di politici, per i quali le leggi dell’economia dovrebbero costituire la borsa degli attrezzi. Mi sono chiesto come si potesse ovviare a questa grave carenza, che affligge la stragrande maggioranza degli italiani. Non conoscere i fondamentali dell’economia o – peggio – essere vittime inconsapevoli di pregiudizi diffusi ad arte, può portare a commettere errori nella vita di tutti i giorni, caratterizzata da continui e numerosissimi atti economici e, nella vita politica, ad assumere posizioni incongrue e a votare di conseguenza.
Nessuno avverte l’esigenza di istruirsi in materia e gli strumenti disponibili: manuali e trattati, sono noiosi, difficili, e non rispondono alle domande che invariabilmente sorgono leggendone i testi, tali da scoraggiare dopo poche pagine anche i più volonterosi.
Mi sono ricordato quando, tanto tempo fa, ho trovato interessante avvicinarmi all’economia: Armando, il mio compagno di banco dalla terza liceo scientifico, più anziano di me di un paio d’anni, appassionato di politica (imprescindibile dall’economia) e di convinzioni liberali, ha iniziato a parlarmene; le sue affermazioni facevano sorgere in me una ridda di domande, che quasi sempre trovavano risposte convincenti e mi inducevano a inoltrarmi sempre più a fondo nella materia.
Così ho pensato che il metodo del dialogo, soprattutto se si riesce davvero a mettersi nei panni dell’interlocutore, avrebbe potuto funzionare anche in un testo scritto, rendendolo molto più agile e vivo, e pertanto più interessante e avvincente rispetto all’esposizione tradizionale.
Il testo è stato pensato, come suggeriscono il titolo e l’immagine di copertina, come rivolto a un’adolescente: non è un limite alla diffusione dell’opera?
Assolutamente no, è stato pensato per tutti coloro che non hanno avuto occasione di studiare la materia, anche per le persone meno scolarizzate: i concetti sono esposti con semplicità, la struttura del periodo è molto semplice, la terminologia altrettanto, i numeri sono limitati allo stretto indispensabile, si è cercato di ricorrere ad esempi facilmente comprensibili ogni qualvolta se ne presentasse la possibilità, proprio per rendere il testo accessibile a tutti e soprattutto non pesante. L’immagine dell’adolescente dovrebbe suggerire proprio il concetto di accessibilità.
L’opera si rivolge a un’adolescente: significa che è stata pensata per le scuole?
Sì e no.
No se pensiamo a una nuova materia da introdurre nei programmi e da svolgere lungo l’intero anno scolastico: non ne ha la profondità e la sistematicità e correrebbe il rischio di essere esposta alle posizioni politiche dei docenti, che sappiamo, nella maggioranza dei casi, non essere di orientamento liberale.
Sì se pensiamo che l’età ideale per accostarsi alla materia è sui 15/16 anni, età di transizione tra l’infanzia e l’età adulta, nella quale la mente è ancora indenne da pregiudizi e avida di comprendere il mondo.
Il testo si legge in un paio d’ore, pertanto potrebbe essere inserito nell’ambito di qualsiasi materia umanistica senza sconvolgerne il programma; il fatto di essere strutturato in forma dialogata potrebbe anche consigliarne la lettura in classe da parte di uno studente e di una studentessa (da variare a ogni capitolo) in modo da favorire la partecipazione attiva della classe e da far vivere il testo.
Qual è stato il suo percorso di approfondimento dell’economia?
L’interesse per la materia è iniziato già dai banchi del liceo, come detto poc’anzi, poi il corso di studi che mi ha portato alla laurea in Economia alla Bocconi ha dato spessore e sistematicità alle mie conoscenze. Determinante è stato poi il percorso professionale, con la carriera manageriale nel marketing, dove ho avuto la fortuna di imbattermi in due eccellenti maestri, come Lunelli e Corigliano, e nella quale ho avuto modo di esplorare in profondità questo aspetto della gestione aziendale; poi tramite la Consulenza di Direzione, tramite la quale le mie conoscenze di economia aziendale hanno avuto modo di espandersi alle altre discipline gestionali e di diversificarsi, applicandosi ai più diversi settori economici.
Immagino che – al di là dell’esperienza pratica nel mondo del lavoro – abbia approfondito la materia anche sotto l’aspetto teorico; quali sono i suoi economisti di riferimento?
Certo che sì, la saggistica economica costituisce una delle mie letture preferite.
Gli autori con i quali mi sento maggiormente in sintonia, oltre al mio amatissimo Luigi Einaudi, sono – tra gli italiani,Antonio Martino e Sergio Ricossa, tra gli esteri Milton Friedman, Karl R.Popper, Friedrich Von Hayek.
Non ha citato Keynes …
E’ vero: ma il solo fatto che sia l’economista di riferimento delle sinistre mi fa ritenere che difficilmente troverei grandi sintonie con le sue tesi. Purtroppo va per la maggiore nelle università italiane, anche se il suo pensiero è stato magistralmente confutato da Von Hayek.
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