Repubblica teme il buon lavoro di Gallera. L’articolo pubblicato ieri è il segno di quanto la Milano di Sala e compagnia abbia paura di Giulio Gallera e allo stesso tempo di come non riesca a mettere da parte la campagna elettorale: durante una conferenza stampa il giornalista chiede all’assessore regionale al welfare se fosse disponibile a fare il sindaco. Domanda di cui è difficile capire il senso in un momento in cui tutti, salvo rare e consuete eccezioni, stanno cercando di vincere una battaglia che più comune è difficile immaginare. Ogni domanda è lecita, come considerarle semplicemente inadeguate altrettanto. Gallera ha risposto così come fatto in altre situazioni che sarebbe disponibile, informazione in mano a tutti i cronisti e i politici milanesi da anni. Il giorno dopo Repubblica pubblica un articolo dal titolo: pronto a fare il sindaco. Operazione molto discutibile, perché ha solo risposto ingenuamente a una domanda fuori contesto. Subito una parte, per fortuna non tutta, della sinistra milanese ha attaccato Gallera: l’assessore era reo secondo loro di pensare alla candidatura invece che all’emergenza. Ora, chi scrive non ha mai avuto rapporti particolari con Gallera, anzi a quanto mi risulta c’era una certa antipatia per un pezzo sul Fattoquotidiano.it, ma non si può negare che se c’è qualcuno che si sta battendo come un leone su tutti i fronti è proprio Gallera. Dall’inizio ha fatto tutto il possibile per affrontare una crisi senza precedenti. Forse proprio per questo Repubblica teme il buon lavoro di Gallera. Il loro campione Giuseppe “l’onesto” Sala è appena inciampato nell’errore della campagna Milanononsiferma, mentre Gallera appariva sempre più come un grande lavoratore e un politico serio. Ecco che però all’improvviso arriva un bell’articolo che fa risultare l’assessore come un subdolo politico che pensa solo alla carriera. Ci sta, è la dialettica politica di cui certi giornali giustamente vivono. Forse però questa volta si poteva evitare. La campagna elettorale si poteva rimandare. Invece no. Peccato. L’ennesima occasione persa dal giornalismo italiano di sembrare serio.