Gentile Costanzo siamo già in ritardo. Per la prevenzione è ormai quasi scaduto l’ultimissimo minuto disponibile. D’altronde come dimostra la vicenda Kaspersky la questione è tutt’altro che semplice. Perché i veri benestanti, quelli che guadagnano decine di migliaia di euro come opinionisti in tv, sui giornali o direttamente al ministero (ricordate il “Piano Colao” che sembrava una serie di raccomandazioni della nonna?) fingono o non sanno che i dispositivi di (in)sicurezza informatica hanno già pervaso le nostre vite. E ci sono aziende ben più grandi di quelle che rievocano i novecenteschi politici e commentatori con cui abbiamo a che fare: Kaspersky è un esempio. E sebbene sia una multinazionale con migliaia di dipendenti e un fatturato monstre, resta nazionale, cioè russa. Infatti i suoi antivirus sono diventati in un colpo da garanzia di sicurezza a “meglio che li togliete” quando la neonata Agenzia per la Cybersicurezza nazionale ha diramato una circolare in cui consigliava di “diversificarli”. Cioè: se potete mettetene uno americano. Peccato che subito dopo il mondo reale si sia accorto che sostituire migliaia di appalti pubblici è persino più complesso di reinstallare un antivirus su migliaia di dispositivi. Senza contare che il mondo delle pubbliche amministrazioni non è esattamente tutto una serie di uffici del Catasto. Ci sono pezzi molto più delicati del sistema. Ad esempio, oltre a Kaspersky, pure Group-B era stata “messa all’indice”, ma fino a poco tempo prima aveva collaborato con la Guardia di Finanza (cioè l’apparato militare italiano) per smantellare i gruppi che vendevano green pass falsi. E allora quando parliamo di prevenzione gentile Costanzo siamo già in ritardo: perché la prevenzione dovrebbe essere a tutto tondo. Non possiamo pensare solo agli “hacker russi” perché poi ci sono quelli cinesi, indiani, coreani, americani, ecc. Qui in Lombardia un’azienda lombarda (Hacking team, era un’eccellenza) è stata di fatto smantellata da un cyberattacco proveniente dagli Stati Uniti. Allora forse prima di correre come mosche impazzite in mille direzioni, dovremmo riflettere se è il caso di continuare a sovvenzionare le industrie dell’automobile ormai bollite e di fatto espatriate. O iniziare ad avere aziende nazionali che hanno un senso nel 2022. E pure nel 2032. Altrimenti PNRR e simili saranno solo come metadone per un tossico. E tra quattro anni ci ritroviamo di nuovo in terapia intensiva.