Milano si unisce all’appello per Julian Assange. “Giornalismo è diffondere ciò che qualcuno non vuole si sappia; il resto è propaganda”. Con questa massima ormai divenuta un mantra da parte del maestro Horacio Verbitsky, è giunto il momento che tutta una categoria debba mobilitarsi in nome di quella libertà di parola e di espressione che siamo sempre dediti a rispolverare nei contesti più disparati. Il giornalismo non può stavolta esimersi dal prendere una posizione perché, sarebbe come negare la sua stessa natura. Impossibile e imperdonabile. E il caso di Julian Assange è l’emblema proprio di questo punto di non ritorno dove il mondo rischia di perdere anche quell’ultima speranza di avere accesso in maniera trasparente all’operato dei governi. Per chi non fosse aggiornato, siamo ad un punto cruciale nello sviluppo del caso del padre fondatore di Wikileaks. Questo 27 e 28 Ottobre si tiene il processo in Appello, durante il quale gli Usa tenteranno nuovamente di ottenere dalla magistratura inglese l’estradizione di Assange, per poi processarlo a porte chiuse davanti a una giuria composta in gran parte di ufficiali governativi e funzionari o ex funzionari dell’esercito, della CIA e dell’NSA e condannarlo ad una pena detentiva di 175 anni di carcere da scontarsi in rigoroso isolamento. Così stanno le cose e non ci sentiamo di calcare la mano o dipingere un contesto degno di una spy story holliwoodiana.
Al contrario abbiamo il coraggio di cogliere l’appello di attivisti e altri colleghi che nella iniziativa #StressThePress hanno chiesto di non abbassare la guardia o lasciar cadere nel vuoto un dibattito ancora flebile per la sola pecca di non vedere coinvolto un connazionale o il ripristino di una verità come nel caso di Regeni. Eppure sempre di ricerca della verità parliamo. Cosa ci sarebbe di così differente? Cosa porta a discriminare gli eventi a tal punto da far si che le istituzioni si spendano in prima linea per taluni eroi moderni alla Zaky e per altri no? La verità e la trasparenza sono valori che non si barattano e proprio come nel caso di Assange presuppongono una lotta per la loro salvaguardia che potrebbe durare anche una vita. Una vita dove non ci sono scuse per tirarsi fuori e dove “il tengo famiglia” non regge. Si compie una scelta e la si porta avanti con coerenza al di là delle conseguenze. Wikileaks docet. E non a caso siamo qua a rilanciare un argomento di cui chiediamo la massima sensibilità ed interesse per le 48 ore che seguiranno. Il nostro non è il solo invito per fortuna perché arriva a seguito di un nuovo presidio a Milan ,proprio davanti al consolidato britannico di Piazza Liberty, dove si è assistito ad un nuovo appello profondo da parte del Comitato per la liberazione di Julian Assange – Italia.
Una sequenza di interventi che hanno visto qualche presenza in più del solito in un orario post lavorativo ma senza la stessa risonanza dei cortei anti green-pass ovviamente. Ma intanto è un segnale forte e rappresentativo di una volontà di saper ancora lanciare messaggi di aiuto per scuotere un’opinione pubblica troppo distratta da altre battaglie di massa. Le stesse che poi diventano “armi di distrazione” da far passare in secondo piano la vicenda di un messaggero moderno come Assange, ora sempre meno rockstar e molto più vicino alla figura del martire,considerando una condizione di salute che ci dicono essere nuovamente peggiorata fra i muri di Belmarsh. Raccogliamo quindi l’appello di Piazza Liberty per il ripristino dei diritti umani e del naturale diritto alla libertà di informazione menzionando anche la presenza speciale dell’ex Presidente della Commissione Esteri del Senato Gian Giacomo Migone e l’impegno di quanti attivisti e associazioni come Casa Rossa , Italiani per Assange e ovviamente il Comitato per la Liberazione di Julian Assange – Italia che hanno permesso che questa fiamma della speranza non si spegnesse prematuramente. Di sicuro non prima di queste 48 ore che a detta di molti non saranno nemmeno il capitolo conclusivo di una vicenda che va ben oltre la diffusione di documenti di stato o il solo piano giudiziario. Il piano ormai è diventato assolutamente “politico”. Sarebbe falso e terribilmente ipocrita affermare il contrario. È necessario comprendere in maniera definitiva e inequivocabile che l’opera d’informazione di Julian Assange e Wikileaks riguarda tutti quanti noi. Ricordiamoci che la prima vittima della guerra è la verità. La guerra poi prosegue con la menzogna, nutrendosi delle nostre stesse vite e delle nostre tasse. La libertà di Julian Assange diventa automaticamente la nostra libertà.
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