Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/1

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/1. In questi giorni sta tornando in auge lo scontro tra magistrati che si è consumato nell’intricato imbroglio che va sotto il nome di “Processo Eni-Nigeria”. Il primo errore è nella definizione, perché di fatto dalla vicenda che ha impegnato buona parte delle risorse della Procura di Milano sotto la direzione di Francesco Greco  ha dato origine a una serie di procedimenti che si sono intersecati in uno dei più viscidi e intricati pateracchi della storia giudiziaria del Paese. E tra l’altro l’unico vero effetto che hanno ottenuto è stato il pensionamento senza onori del secondo procuratore milanese di fila dopo Edmondo Bruti Liberati e uno scannamento reciproco tra pm che va tutt’ora avanti. Per semplificare: l’uno ha accusato l’altro di aver cercato di orientare il procedimento per proteggere un imputato o condannarne un altro. Fatto che, se provato, costituisce ancora un comportamento punibile dalla legge. Per ora l’opinione pubblica ha assistito all’ennesima mazzata alla reputazione della magistratura milanese e ai pm in lacrime perché hanno scoperto cosa si prova a lottare contro “il sistema”. Ma quello che più  ci interessa in questa serie di articoli è ricostruire la gigantesca ragnatela di fake news costruita intorno a una delle vicende processuali che resteranno negli annali. Magari negativamente, ma ci resteranno. Partiamo allora dal 2014. Quell’anno iniziano a girare tra gli alti gradi dell’Eni e della politica come l’ex vicedirettore del Corriere Massimo Mucchetti alcune mail con delle presunte informazioni riservate sulla dirigenza del colosso pubblico.

Eccone un esempio:

 

 

 

 

Come si vede, si parla di questioni personali e con dei risvolti potenzialmente scabrosi. Informazioni che potrebbero causare non pochi problemi a un alto dirigente. Tutte panzane, secondo quanto ricostruito successivamente dalle indagini, ma intanto il  primo colpo della strategia era stato affondato: l’account da cui era partita l’email infatti era paolo.scaroni@gmx.com. Ora per chi non lo sapesse, Paolo Scaroni è stato per 12 anni a capo di Eni, dunque un occhio disattento avrebbe potuto credere che la fonte fosse affidabile. Sebbene magari spinta dall’intenzione di danneggiare un concorrente come Claudio Descalzi. Ma già la mail poteva far sorgere dei dubbi: il dominio è infatti gmx.com. Una piattaforma che offre un servizio molto simile a Gmail, dove dunque è facile registrare una mail con il nome di qualcun altro. Per le buone regole della sicurezza informatica di base, chi ricevesse una mail simile dovrebbe chiedersi:

a) perché dovrebbe mandarmi una mail con diverse persone in copia evidente, senza nemmeno prendersi il disturbo di metterci tutti in copia nascosta?

b) perché mai per veicolare un’informazione simile il mittente dovrebbe usare una sorta di simil gmail e per di più con il suo nome e cognome?

c) perché mai qualcuno dovrebbe veicolarmi informazioni riservate in questa modalità e non con una telefonata? Specialmente perché parliamo di una persona notissima.

Ma il gioco delle menzogne sulla questione Eni-Nigeria è complicata. E si basa su una serie di mosse multiple e in più direzioni. Solo i verbali in cui i protagonisti come l’avvocato Amara descrivono la fitta rete di trame di cui sono stati protagonisti rendono l’idea della complessità delle attività intorno a questo gigantesco groviglio. Un tema così complesso che lo approfondiremo nelle prossime puntate…