Insegnanti in fuga dalle scuole milanesi. Le segnalazioni si moltiplicano da istituto a istituto per un fenomeno che spiega una volta ancora quanto sia bello avere un posto di lavoro pubblico: molti docenti si stanno mettendo in malattia da settimane, forse sperando in un altro lockdown o comunque nella didattica a distanza per non svolgere normalmente il proprio lavoro. La paura o la pigrizia? Non è certo cosa spinga chi vive di soldi pubblici ad aggirare le regole, ma la vita di quelli che Checco Zalone ha definito i posti fissi è diversa. Sicuramente i genitori sono sul piede di guerra per l’assenza degli insegnanti e per le modalità in cui avviene: come ha spiegato uno di loro, i certificati di malattia vengono mandati di settimana in settimana causando almeno due disservizi. Il primo è la mancanza del docente, il secondo è l’impossibilità di sostituire gli assenti con supplenti: è troppo breve il periodo di assenza. Così da settimane gli alunni non hanno avuto quello per cui i genitori pagano. E nemmeno un servizio sostitutivo, perché per i posti fissi il posto di lavoro è una proprietà a cui non vogliono nemmeno rischiare di rinunciare: se non ci sono loro, non ci deve essere nessuno. Così il pubblico paga due volte: personale che non svolge il proprio compito e figli che non imparano. Ma gli insegnanti in fuga dalle scuole milanesi possono fregarsene (secondo il vecchio motto fascista) perché il loro contratti sono solidissimi, quindi nessuno di loro sta rischiando di rimanere a casa definitivamente. Nel mondo privato verrebbero giustamente licenziati malamente, con anche un comprensibile disprezzo da parte dei colleghi e di chiunque conosca il modo di comportarsi. Invece la “postofissità” raccontata da Zalone permette tutto. Anche di calpestare i diritti dei bambini.