Tre punti sensati per rifondare la Polizia locale di Milano. Negli ultimi anni, la polizia locale di Milano è stata sottoposta a una vera e propria “restaurazione”, nel senso storico del termine. Da moderni agenti della polizia locale, i Ghisa sono tornati a essere i vecchi vigili urbani degli anni ’70! Un percorso, quello della Giunta Sala, intriso di quella ideologia egualitaria, che considera tutti identici, con stessi diritti e doveri, indipendentemente dalle funzioni svolte che, per contratto, norme, e attività, sono diverse. Tutti impiegati comunali, per la gioia e il sollazzo di amministratori incompetenti e sindacati conniventi! Come si fa a non capire che un impiegato dell’anagrafe che lavora dalle 9 alle 16, sabati, domeniche e festivi esclusi, non fa le stesse cose di un “Ghisa”, comandato 24 ore su 24, sabati, domeniche e feste incluse? Come si fa a non comprendere che funzioni e responsabilità sono diverse e maggiori, disciplinarmente, amministrativamente e penalmente? Forse è proprio per questa concezione totalizzante e livellante delle funzioni, che i Ghisa, durante la prima fase della pandemia, sono stati costretti dall’assessore alla sicurezza Scavuzzo a “stare in panchina”, come gli altri dipendenti comunali. Tradotto in soldoni, obbligati a rimanere a casa in ferie forzate o in smartworking. Trasformando i poliziotti locali in dipendenti comunali, la Giunta Sala ha ridotto, nei fatti, la “potenza di fuoco dei Ghisa”, con ripercussioni che sono sotto gli occhi di tutti. Distrarre dai propri compiti istituzionali la polizia locale, limitarne le funzioni, non assumere nuovi operatori in numero congruo, non formare quelli in servizio, non dotarli di tutti gli strumenti di lavoro, diminuire drasticamente i servizi, diminuire gli investimenti sulla sicurezza, e molto altro ancora, ha contribuito con certezza matematica a rendere Milano meno sicura, meno attraente, meno inclusiva…
Basti solo pensare che i pochi Ghisa assunti non hanno nemmeno il tesserino di riconoscimento. Un pezzo di carta plastificato. Questo è puro disinteresse verso chi lavora, sciatteria. Non si era mai vista una cosa del genere in quasi 170 anni di storia del Corpo! I risultati di queste scelte si sono riverberati negativamente su gran parte di quel personale che ha sempre dato più del dovuto e che, nato per fare uno specifico mestiere, si è trovato a farne un altro, con evidenti ricadute sulla motivazione. Se chiedete oggi a un qualsiasi agente della polizia locale di Milano cosa pensa del proprio lavoro, vi risponderà che ha perso la passione, che il Corpo al quale appartiene è appiattito, che non è governato da logiche meritocratiche, che da parte dell’attuale amministrazione non vi è alcuna attenzione nei confronti di chi lavora in strada e rischia salute e vita, se non quella di sfruttare la polizia locale quando si vuole fare propaganda politica.
Come cambiare rotta?
Indipendentemente dall’approvazione della legge chimera (quella di riforma delle Polizie locali), alla quale io stesso lavoro da anni in prima persona, tema che deve essere affrontato dal Governo in carica, proprio per eliminare equivoci e storture, su Milano provo ad anticipare tre azioni concrete che possono contribuire a migliorare l’assetto attuale del Corpo
1°) ISTITUZIONE DI UNA COMMISSIONE DI INCHIESTA CONSIGLIARE che faccia il punto proprio sulla modifica dell’assetto della polizia locale di Milano, che verifichi le condizioni di lavoro alle quali è stato relegato il Corpo che, tempo addietro, era considerato il più efficiente d’Italia. Poi si deve fare luce su alcune vicende scottanti, perché da queste occorre ripartire per rifondare un Corpo che ha perso la guida e la visione del proprio operare. Si deve affrontare il tema degli scandali giudiziario mediatici che hanno coinvolto i Ghisa in questi ultimi due anni (quello del nucleo antidroga portato alla ribalta da un servizio delle IENE; quello del nucleo anticovid sorpreso a festeggiare senza mascherine e distanziamento, mentre i cittadini erano costretti in casa dagli obblighi determinati dai vari DPCM; quello dei sindacalisti che cancellavano multe agli amici degli amici; quello degli agenti che si davano alla fuga dopo avere investito un pedone con l’auto di servizio; quello dell’intervento anomalo del comandante della polizia locale nell’incidente mortale causato dalla figlia di due noti magistrati milanesi, etc.). Occorre anche che la commissione d’inchiesta apra uno specifico capitolo sul suicidio di quattro donne in divisa in meno di due anni, in questo caso avvalendosi di psicologi e sociologi, per provare a dare risposta nel merito del disagio evidente della categoria. Negare che esista un problema di disaffezione nell’appartenenza o di controllo della struttura, a mio modesto parere, è parte fondante della causa stessa.
2) SELEZIONARE UN NUOVO REPARTO INVESTIGATIVO INTERNO: in questi anni si è assistito troppe volte all’apertura di “indagini interne” da parte di agenti e ufficiali contro altri agenti e ufficiali, a volte condotte in modo cialtronesco e dilettantistico, su fatti spesso inesistenti o insussistenti, a volte motivati addirittura da rivalità politiche e sindacali, tanto
da dare l’idea che alcune di queste “indagini” fossero state utilizzate per intimidire, per neutralizzare “avversari” o persone scomode, pertanto, come strumenti di repressione, di controllo. Il dubbio sovviene perché mentre si svolgevano indagini farsa contro i “nemici interni”, di contro, gli stessi “investigatori” parevano non accorgersi di nullafacenti travestiti da dirigenti sindacali che, sfrontati, impuniti, beandosi tronfi dei propri privilegi, commettevano le peggiori nefandezze, come cancellare multe agli amici o usare permessi per farsi gli affaracci propri! Occorre fare pulizia, eliminando queste pericolose deviazioni. Se all’interno del Corpo è giusto che ci sia un organismo che indaghi sugli eventuali comportamenti scorretti da parte degli operatori, una sezione investigativa interna, occorre che questa struttura garantisca però il principio che chi viene indagato deve avere la certezza che i colleghi che lo mettono sotto inchiesta siano i più capaci, i più neutrali, i più trasparenti possibili, e non i più sindacalizzati, i più raccomandati e i più inclini a fare favori ai potenti di turno. Rifondare l’investigativa interna è essenziale e non più procrastinabile.
3) ABOLIRE IL BADGE: nonostante la pervicacia dell’amministrazione Sala, la verità è che l’esperimento dell’adozione di questo sistema di controllo delle presenze è fallito miseramente! Qualsiasi autorizzazione che prima si otteneva in un passaggio adesso ne richiede almeno tre. Dove prima c’era una persona a gestire i turni adesso ne servono due. Mentre prima si riusciva a garantire molti più servizi con il meccanismo dell’accavallamento dei turni, ora questo non è più possibile, e ciò provoca gravi riduzioni sul numero dei servizi da erogare alla cittadinanza. Di fatto, l’introduzione del badge, ha prodotto un aggravamento procedurale, mancando l’obiettivo che l’amministrazione si era proposto di diversi chilometri. Purtroppo, questo strumento è stato voluto e gestito nell’applicazione da chi non ha mai avuto alcuna esperienza operativa, e sempre con il fine primo di uniformare i dipendenti comunali, non certo di efficientare i servizi.
Il badge, oltre ad essere inadatto a controllare attività operative in esterno, ha umiliato il Corpo, e non perché abbia introdotto un ulteriore tipo di controllo sul personale, ma per la sua natura, ormai chiara a chiunque non sia cieco, di inadeguatezza alle attività della Polizia Locale. Nonostante ci si sia resi conto che il modello non funzioni, il comune ha
deciso di andare avanti a oltranza. La paura è quella di perdere la faccia, così si preferisce perseguire un obiettivo fallimentare, piuttosto che rimediare.