Oggi intervistiamo Gabriele pandolfino che, dopo essersi laureato in infiermeristica presso l’Università di Messina, ha maturato una pluridecennale esperienza nel campo dell’assistenza ospedaliera ed è attualmente impiegato presso il Policlinico di Milano, dove è spesso impegnato nel reparto dedicato ai malati di covid. Persona che ha sicuramente il polso sulla situazione delle corsie Milanesi, sia in tempi normali, sia nel corso della pandemia, cui vale la pena di fare qualche domanda.
Buongiorno Gabriele , ci parli brevemente di lei e della sua esperienza in ambito ospedaliero, in particolare per quanto riguarda quella svolta nella città di Milano:
“Mi chiamo Gabriele Pandolfino ho 40 anni, sono sposato e ho due figli. Nel 2006 ho iniziato la mia professione all’ospedale Niguarda di Milano per poi trasferirmi dopo appena un quinquennio in un distaccamento del bambin Gesù di Roma. Dopo avervi trascorso 4 anni, nel 2016 sono tornato al nord con una grande voglia di riscatto. L’esperienza milanese mi ha forgiato tantissimo poiché ho avuto la fortuna di lavorare nei migliori ospedali e dipartimenti della Lombardia”.
Come valuta il livello di assistenza offerto ai malati milanesi nei periodi non emergenziali?
“Il livello di assistenza, è inutile negarlo, ha fatto i conti con i tagli, turnover etc etc che la sanità tutta ha subito. Gli anni ottanta, di cui io non ho esperienza ma che i miei colleghi più anziani mi riferiscono era un’altra cosa. Gli anni 90 e poi 2000, malgrado la formazione universitaria si avvicinava sempre più a quella anglosassone, le dotazioni organiche e l’aumento della burocrazia hanno influito negativamente sulla qualità dell’assistenza infermieristica”.
Quanto ha inciso l’emergenza sanitaria sulle vostre attività ordinarie?
“Ha inciso sconvolgendo ogni pilastro a cui l’assistenza infermieristica si basava. E’ stato necessario reinventare tutto”.
Ci parli del suo impegno all’interno del reparto covid:
“ll mio impegno nei reparti COVID è stato vissuto, nella prima ondata, con uno spirito di dovere. La gente ha lavorato pensando soltanto ad assistere e salvare vite. La seconda e terza ondata è stata vissuta molto male, errare humanum est, perseverare autem diabolicum. Se non esisteva alcun piano strategico a febbraio ci saremmo aspettati di vederlo a giugno. ZERO!”.
Che giudizio ha su come Stato, Regione e Comune hanno affrontato l’emergenza sanitaria?
“La pandemia ha evidenziato tutti i difetti rispetto alle competenze contenute. Tutti sappiamo della totale assenza dei piani pandemici nazionali. Anche in questo caso le regioni organizzate meglio sul territorio hanno risposto con più adeguatezza, tipo Veneto, Emilia Romagna , etc. la Lombardia, purtroppo pesantemente colpita per prima, è rimasta spiazzata!”.
Se potesse dare un suggerimento alle istituzioni quale sarebbe?
“La politica sanitaria in Lombardia è rimasta quella dei tempi di Forza Italia e Formigoni. La Lega, malgrado abbia avuto 2 governatori come Maroni e Fontana non ha riformato ciò che era stato creato nel ventennio Formigoniano. Personalmente avrei sfruttato questa condizione imponendo a tutte le strutture private la gestione del covid, liberando gli ospedali pubblici per poter dare assistenza ordinaria ai pazienti critici negativi. Sarebbe stato come ripagare i cittadini della politica di privatizzazione attuata in passato”.
Al di fuori dell’attuale situazione emergenziale, come valuta la gestione della sicurezza all’interno degli ospedali milanesi?
“Spero che dopo questa esperienza gli ospedali riformino la loro organizzazione completamente, tenendo conto che dopo il covid ci può essere altro. Insomma impariamo la lezione”.
Ha qualche suggerimento in materia di sicurezza ospedaliera?
“Rivedrei sostanzialmente i percorsi rispetto agli accessi. IL problema era ben evidente anche prima. Un paziento con la febbre deve avere un suo percorso che parte dal pronto soccorso e finisce nelle degenze dedicate”.
E’ ottimista o pessimista in merito alla fine dell’emergenza?
“Ottimista sempre!”.
Si parla di un suo futuro impegno politico vuole parlarcene?
“Certamente! Già da diverso tempo mi occupo dell’interesse generale facendo volontariato e desidererei partecipare alla gestione della cosa pubblica, considerando il bene della collettività come via maestra per giungere alla realizzazione personale. Penso che oggi ci sia bisogno di una nuova generazione di politici capaci di coniugare rigore morale e competenza. Concludendo penso che l’impegno politico deve essere concepito come un compito di altissimo valore e se mi sarà data l’opportunità di provare a fare politica attiva cercherò di essere degno della fiducia ricevuta”.