Ubi maior minor cessat

Ubi maior minor cessat. Questa è la speranza di alcuni. Perché è quello a cui si oppongono i magistrati che indagano sulla gestione di UBI banca: non vogliono che diventi un grandissimo can can sollevato come una nuvola di polvere. La questione su cui si sono buttati è molto grave, senza nemmeno citare le presunte operazioni sospette che coinvolgono grandi nomi, perché getta molte ombre su nomi molto influenti sul sistema economico e politico italiano. Chi mai si affiderebbe a un gommista se sapesse che è abituato a rimpiazzare le gomme vecchie con gomme altrettanto vecchie? Chi mai andrebbe a bere il caffè in un bar di cui si sa che vende caffè di seconda mano come di prima? Insomma, chi vuole capire capisce: se non ci affideremmo mai a personaggi con abitudini non in linea con i principi di correttezza comuni per operazioni così semplici come il cambio gomme, perché dovremmo invece soprassedere su questioni ben più rilevanti? Noi non siamo mai stati per la cultura del sospetto o delle manette perché pensiamo che chi cerca Giustizia di solito rischia di essere giustiziato. Ma ci sono limiti oltre i quali non andare se non si vuole mettere a rischio la tenuta di un sistema. Se si applica l’idea che Ubi maior minor cessat, che letteralmente significa “in presenza di quel che possiede più potere o importanza, chi ne ha meno perde la propria rilevanza”, allora il destino dei 30 furbetti di UBI sarà solo un dettaglio. Se passa l’idea che chi ha soldi e potere può lamentarsi sulla stampa perché “l’angoscia del processo è già una pena” finiremo male. Specialmente in un Paese dove chi non conta un fico secco (tra cui molti giornalisti) non ha nemmeno la possibilità di sostenere il confronto con il sistema giudiziario. E magari aspetta mesi o anni che i pm abbiano finito di occuparsi dei processi degli uomini importanti così affaticati dalla loro angoscia perché qualcuno gli chiede conto di certi affari con il loro giro di amici. Certo, questa è la nazione dove i presidenti degli artigiani devono essere obbligati a pagare i propri debiti dal tribunale, tra l’altro mentre parlano in continuazione di cosa ha bisogno la categoria (magari gente che commissiona lavori e poi li paga?). Dunque tutto normale. Però triste. Molto triste, perché se un poveraccio qualunque vuole un mutuo per comprare un posto dove vivere gli fanno pelo e contropelo e lui deve pure ringraziare perché gli permettono di non vivere sotto un ponte. La speranza di alcuni dunque è che pure in questo caso i potenti se la cavino e tutto si tranquillizzi, la speranza dei molti invece è che chi gestisce il potere economico ci lasci almeno la tranquillità. Continuino pure a darsi lauti stipendi per risultati discutibili. Ma almeno non certifichino per l’ennesima volta che loro sono loro e noi non siamo un cazzo.