Intervista a Talamo autore del Nuovo manuale di comunicazione pubblica. Sergio Talamo, tarantino di origine, tra i fondatori di PA Social, è dirigente di Formez PA (direttore dell’Area Comunicazioni Istituzionali e Relazioni con la PA). Giornalista, studioso ed esperto di comunicazione
- Ci può spiegare perché era il momento di pubblicare questo manuale?
Siamo in una fase delicata quanto decisiva della vita del nostro Paese, e la comunicazione pubblica gioca un ruolo tutt’altro che di secondo piano. È ormai diventato fondamentale saper comunicare lo Stato nelle sue varie articolazioni, da quelle più grandi e complesse a quelle più piccole e più “semplici”. Bisogna però avere le giuste competenze e saper padroneggiare gli strumenti: è sotto gli occhi di tutti che la comunicazione pubblica, ma direi la comunicazione in generale, ha svoltato in maniera decisa e decisiva verso il digitale. Le professionalità ci sono, e sono di ottimo livello, ma sono fortemente limitate da un tetto legislativo che non le protegge, non le tutela e non le favorisce.
- Se dovesse indicare tre caratteristiche fondamentali per la nuova comunicazione a cui dovrebbero adeguarsi gli uffici pubblici quali sarebbero?
Innanzitutto la prossimità. L’intenzione è quella di rendere lo Stato sempre più vicino al cittadino, che deve quindi mettere da parte quella tendenza a vederlo come un “alieno spersonalizzato”. “Lo Stato siamo noi”, ci dicevano a scuola: è così anche in ambito comunicativo. Lo Stato è fatto di persone – quindi umanizzazione della PA come seconda caratteristica fondamentale – che comunicano ad altre persone. Devono però farlo attenendosi al criterio base della trasparenza, che non può che condurre alla citizen satisfaction: la Pubblica Amministrazione deve ambire a somigliare sempre più a quella “casa di vetro” in cui il cittadino può poggiare lo sguardo. Mi permetta di aggiungere un quarto elemento, quello della professionalità: va mantenuta sempre, come una stella cometa che guida il cammino. Forse può essere considerata la madre delle peculiarità nell’ambito della comunicazione pubblica.
- Pensa che le Pubbliche Amministrazioni abbiano le giuste risorse umane e tecnologiche per un’efficace comunicazione?
Come detto, le risorse umane e professionali sono di alto livello, e ce ne siamo accorti quando, durante la pandemia, abbiamo selezionato le fonti a cui attingere per avere notizie certe, verificate. Credo anzi che la Pubblica Amministrazione sia un po’ sottovalutata da questo punto di vista, probabilmente perché vittima di quel concetto, che ha preso piede nel decennio scorso, di grande serbatoio di fannulloni. La realtà dice il contrario. Grandi professionalità, grandissime competenze e, ultimamente, come sottolineato spesso anche dal ministro Brunetta, grandi investimenti sulla digitalizzazione della PA. Quello che manca, tuttavia, è la cornice legislativa: il mondo della comunicazione pubblica è normato dalla legge 150 del 2000, cioè in piena epoca analogica: è arrivato il digitale, ha invaso le nostre vite e le nostre attività, ma noi siamo fermi a una legge di ventidue anni fa. Stiamo cercando di riformarla per dare vita a quella che, con una formula giornalistica, definiamo “legge 151”, che sarebbe certamente una svolta per le professionalità che lavorano nell’ambito della comunicazione pubblica digitale. Questo è un gap che va assolutamente colmato: ma c’è da dire che, allo stesso modo, bisognerebbe mettere mano a quella lacuna di tipo infrastrutturale e tecnologico che, per utilizzare una metafora calcistica, spesso ha influito non poco sulle prestazioni dei singoli e della squadra. L’ingente investimento previsto dal PNRR su questo piano può davvero essere la svolta per poter arrivare a una PA sempre più efficace ed efficiente.
- Oggi il tema essenziale per la pubblica amministrazione è il PNRR, ma i bandi stentano a partire e quando vengono pubblicati spesso vanno a vuoto. Inserire i comunicatori tra le figure previste dal PNRR potrebbe aiutare il dispiegamento delle sue risorse economiche?
È singolare come un evento epocale come il PNRR, della cui mole di risorse non si ha paragone se non tornando al Piano Marshall, non dia adeguato risalto e non riconosca la giusta importanza alla figura dei comunicatori pubblici. Spesso accade che i termini di scadenza dei bandi, come lei dice, vadano deserti perché, molto banalmente, non c’è chi li comunica. Si tratta di un vulnus piuttosto serio, a cui bisognerebbe porre rimedio. D’altro canto, tra un po’ di anni penseremo al PNRR come a una svolta epocale soltanto se oggi sarà in grado di sfruttare quello che il digitale offre per le Pubbliche Amministrazioni.