Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/5: il sequestro di persona in via Watt

Il processo Eni Nigeria e come si costruisce una rete di fake news/5: il sequestro di persona in via Watt. Nelle scorse puntate di questo viaggio nel più importante processo seguito dalla Procura di Milano sotto il mandato di Francesco Greco, abbiamo visto come con una serie di mail anonime uno o più ignoti abbiamo cercato di diffondere informazioni che oggi definiremmo fake news. Una serie di presunte notizie sugli affari di Mario Draghi, della famiglia Rocca di Techint, come di altri nomi importanti che grazie ai proventi di miniere d’oro avrebbero costruito una serie di affari loschi tra Italia e Africa. Gabriele Volpi, attuale proprietario dello Spezia calcio, sembra l’unico nome relativamente sconosciuto. In questa prima parte abbiamo approfondito l’importanza della costruzione di quasi verità e dell’utilizzo di servizi come gmx.com così come dell’importanza di tenere d’occhio la propria casella mail. Oggi però passiamo al salto di qualità, in un certo senso: le persone dietro a una complessa manovra di aggiramento del sistema Eni iniziano a metterci la faccia. E’ infatti il 2015 l’anno in cui Alessandro Ferrario, napoletano classe ’71, si presenta di fronte alla polizia per denunciare un sequestro di persona. E’ il 13 agosto. L’uomo alla Procura di Siracusa dichiara di essere stato rapito a Milano il giorno prima: tre uomini, due neri e un bianco “dallo spiccato accento milanese”, armati di pistola lo avrebbero costretto a salire su un suv nero BMW per portarlo a parlare con un quarto personaggio. Quest’ultimo prima gli avrebbe chiesto se sapeva qualcosa di un deposito di rifiuti radioattivi vicino a Melilli, poi informazioni in merito a certe cene avvenute al ristorante il Caimano (che in realtà è il Kaimano con la K). I quattro “dopo aver consultato qualcun altro con un collegamento tipo skype” lo avrebbero rilasciato così, senza nemmeno uno “se chiami la polizia ti spariamo”, o un più semplice “attento a te”. Forse perché come diceva una vecchia pubblicità “una telefonata ti allunga la vita”. O forse perché questo sequestro lampo in realtà non è mai avvenuto. Ma Ferraro in quell’agosto è ribolle di informazioni: dice che l’episodio lo ha fatto pensare. E forse il problema sono proprio quelle cene milanesi in cui lui ha scoperto l’esistenza di “un’organizzazione internazionale che si basa in Italia con l’obbiettivo di destabilizzare il managment  (è scritto così nel verbale, ndr) di grandi gruppi italiani al fine di assumere il controllo di importanti operazioni economiche”. Niente meno. E i target non sono piccoli: “Eni spa, Telecom spa e Cofely spa”. Ma la trama si infittisce ancora perché Ferraro conoscerebbe il capo di tutto, proprio quel Gabriele Volpi di prima, grazie a un presunto agente dei servizi segreti nigeriani Nic Aboutaki. Ferraro tra l’altro non si spiega come mai quest’ultimo sappia che lui ha avuto rapporti con i servizi segreti italiani “per ragioni d’ufficio” (il pensiero corre subito ammiocuggino). Ma i dettagli esondano da Ferraro: la rete conterebbe anche su Vergine (ex ad di Saipem), Luigi Zingales (cda di Eni spa), Cusimano (dirigente Telecom spa), Pietro Varone (ex Saipem). Avrebbe partecipato a questi incontri “tuttavia estraneo a quei discorsi”, pure il giudice di Cassazione Esposito (ricordate? Quello che avrebbe dichiarato che a Berlusconi gli avrebbe “fatto un mazzo così”, con conseguente diatriba giornalistico-giudiziaria che ha coinvolto pure Franco Nero). Ma ecco che Ferraro si raffredda tutto d’un colpo: “Non ho idea se tali fatti siano veri oppure no, rappresento tutto ciò al solo fine di individuare le persone da me frequentate nei contesti milanesi”. Come se per parlare del vicino di casa uno iniziasse: secondo quella del secondo piano è un pedofilo, io l’ho visto spesso con due ragazzine, secondo quello del pianerottolo è sempre al sexy shop ed è iscritto a un sito per chi violenta le donne, però non sto dicendo che sia un criminale. A chiunque, cronista o no, verrebbe il dubbio. Anche perché nel frattempo c’è spazio per un altro giro di fango: stavolta è Bruno Marziano, deputato regionale siciliano, che sarebbe stato corrotto per la costruzione della Piattaforma Vega B di Eni. Caso vuole che Marziano avesse espresso pubblicamente il proprio appoggio all’operazione, ma non risulta che sia stato arrestato. Ma è la serie di mezze verità di cui continueremo a parlare nel prossimo articolo…

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