Serve ancora il suffragio universale? Perché le voci contrarie sono sempre più consistenti, mentre scarseggiano quelle a favore. Oggi come oggi risuona ancora di più il refrain “il vero problema è il suffragio universale”. Serve ancora oggi come oggi? Perché già nei decenni scorsi in tanti ricordavano che Hitler e altri dittatori avevano goduto di ampio consenso nelle urne. Almeno fino a quando le hanno lasciate aperte. Era una delle argomentazioni in favore dei contrappesi al sistema elettorale: senza, si diceva, il popolo vota Hitler. Se è per questo ha votato pure Lenin. Ma il tema se i popoli meritino i governanti che scelgono è per definizione destinato a un dibattito infinito. Quello sul suffragio invece potrebbe essere ripreso partendo da alcune constatazioni: la complessità della vita moderna è infinitamente più alta di cento anni fa. Mentre il grado di istruzione soprattutto di capacità di comprensione medio di testi o discorsi complessi si è abbassato molto. Partecipare davvero come cittadino alla vita pubblica è molto complicato, senza contare che in tanti sono orgogliosamente contrari ad andare a votare. Il partito degli astenuti vince regolarmente le elezioni da parecchio tempo. Forse il problema è proprio quello: il voto è un diritto senza un costo e lo hanno tutti, essendo un bene pubblico veramente è dunque ignorato se non disprezzato dagli italiani. Ma allora le basi per restringerne il perimetro ci sono. Perché tra chi non è interessato ad averlo e chi non è in grado di capire un testo o un discorso di più di cinquanta parole ci sarebbe spazio per chiedersi se serve ancora il suffragio universale. Ma non come boutade da social, come discorso serio: a volte tornare indietro serve a compiere passi avanti più decisi. Perché non provare a proporre questa cittadinanza di serie B e A? Per quanto sembri assurdo, in molti potrebbero optare volontariamente per la prima. Non servirebbe nemmeno un grande incentivo, potrebbe bastare uno sconto di 100 euro annui sulle imposte. O un televisore nuovo.