WeWorld: in Italia le persone con background migratorio si sentono estromesse dalla discussione pubblica

WeWorld: in Italia le persone con background migratorio si sentono estromesse dalla discussione pubblica e provano sfiducia verso le istituzioni. Lo evidenzia l’indagine condotta dalla ONG all’interno del progetto europeo SHAPE. Le persone con background migratorio non sono coinvolte nella discussione pubblica e sono fortemente sfiduciate verso le istituzioni italiane. A evidenziarlo la ricerca condotta da WeWorld, organizzazione impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne, bambine e bambini in 25 paesi del mondo compresa l’Italia nell’ambito del nuovo progetto SHAPE – SHaring Actions for the Participation and Empowerment of migrant communities and Local Authorities – finanziato da bando europeo AMIF (Transnational Actions on Asylum, Migration and Integration). In Italia oggi vivono 5 milioni di cittadini stranieri e un milione e 250mila persone cittadine italiani con background migratorio. WeWorld, in collaborazione con IRS, ha raccolto le opinioni di diverse persone con background migratorio sulle loro esperienze di partecipazione alla discussione pubblica e politica. Dallo studio emerge che i cittadini di origine straniera non si sentono né rappresentati adeguatamente né coinvolti nelle decisioni pubbliche, anche e soprattutto quelle che li riguardano. Una delle questioni più sentite è il tema della cittadinanza (nel 2020 solo 131.803 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana, a fronte di una popolazione straniera residente in Italia di circa 5 milioni di persone) e, collegato a questo, il diritto di voto. Tutto ciò non fa che aumentare la mancanza di fiducia nelle istituzioni italiane, come emerge dallo studio di WeWorld.

Eppure poter esprimere le proprie istanze, venire ascoltati e riconosciuti aiuterebbe nella formulazione di politiche di integrazione più attente e rispondenti ai reali bisogni. Politiche più efficaci per contrastare il rischio di esclusione sociale che riguarda il 42% dei cittadini non comunitari e la grave deprivazione materiale che riguarda il 15%.

“È necessario mettere le persone con background migratorio nelle condizioni di poter partecipare alla vita della comunità di cui fanno parte, coinvolgendoli nella discussione pubblica e nei processi decisionali – spiega Elena Caneva, responsabile Centro Studi di WeWorld – Sono persone che vivono ormai in Italia da molti anni o vi sono nati, che partecipano attivamente alla vita economica e sociale del paese e che vorrebbero sentirsi parte a tutti gli effetti, esprimendo le proprio istanze in un dialogo e confronto diretto (e non mediato, come spesso accade) con le istituzioni.

Nell’indagine emerge un problema di fiducia verso le istituzioni italiane – la maggior degli intervistati dichiara di aver paura di accedere ai servizi locali e non crede che i propri bisogni possano trovare una risposta adeguata (ad esempio, in alcuni casi preferiscono tornare nei loro Paesi per motivi di salute).

È in questo contesto che nasce il progetto SHAPE che ha come obiettivo quello incentivare la partecipazione delle comunità migranti nei processi democratici e nell’ideazione e implementazione di politiche di integrazione a livello locale, nazionale e comunitario delle comunità migranti.

Un progetto europeo che si svolge in 3 diversi Stati di confine – ovvero Italia, Ungheria e Croazia, in cui l’opinione pubblica appare particolarmente negativa nei confronti dei migranti – in altri 2 Stati leader per quanto riguarda la partecipazione dei migranti al processo democratico, Germania e Portogallo.

Per capire le azioni necessarie da mettere in atto, il 21 luglio i partner di progetto hanno presentato i risultati delle analisi condotte nei singoli Paesi durante il webinar “SHAPE The Society We Want”, dimostrando quanto sia cruciale la partecipazione e il coinvolgimento nella vita democratica delle comunità migranti. L’analisi è stata realizzata attraverso una metodologia comune in tutti e cinque i paesi grazie al contributo di IRS, Istituto per la Ricerca Sociale riconosciuto a livello internazionale, che ha curato la parte sui focus group, e sarà la base da cui partiranno le attività di capacity buiding per le comunità migranti.

Sono stati ascoltati i bisogni di comunità migranti e persone con background migratorio riguardo a cinque tematiche centrali per condurre una vita piena e soddisfacente: abitazione, istruzione, salute, lavoro e gender mainstream.

L’analisi condotta da WeWorld sulla base dei dati disponibili in letteratura evidenzia in particolare alcune questioni: Nonostante in passato ci siano stati tentativi di creare meccanismi consultivi nazionali volti a favorire la partecipazione dei migranti alla cosa pubblica, gli effetti sono stati irrilevanti.
La partecipazione politica in senso stretto, intesa come possibilità di votare e candidarsi alle elezioni, è legata all’ottenimento della cittadinanza.

È nella struttura sindacale che i migranti hanno trovato il loro principale canale di partecipazione politica intermedia e, soprattutto, di mobilitazione politica. 1 lavoratore migrante su 2 è iscritto a un’associazione sindacale, mentre il dato si ferma al 34% (1 su 3) per i lavoratori italiani (IDOS, 2020). Ma non è sufficiente.

Le persone con background migratorio vivono la partecipazione civica soprattutto a livello locale, dove sentono che i loro bisogni primari sono valutati più da vicino. È proprio nelle forme meno convenzionali che la partecipazione vede maggiore fermento e vivacità.

In Italia, le persone con background migratorio non avendo una voce propria e soprattutto uno spazio per rivendicare i propri bisogni e necessità, vedono le proprie istanze portate avanti da stakeholders della società civile. Il Terzo settore in questo contesto sopperisce un vuoto politico.
Nel 2020, erano 931 le associazioni e gli enti privati iscritti al registro associazioni migranti che operavano per i cittadini con background migratorio in Italia: cooperative sociali, scuole, università, centri di ricerca, aziende private, strutture sanitarie, enti religiosi, ecc.

Un database del Ministero del Lavoro compilato su base volontaria dalle associazioni conta attualmente 1.149 associazioni registrate. La maggior parte delle associazioni sono plurinazionali, ma i dati suggeriscono anche che le comunità di lunga data, che hanno creato reti nel corso del tempo, si sono impegnate maggiormente nelle associazioni e sono più propense a partecipare alla società civile.