Viva la festa della Repubblica. Lo diciamo con forza in questi tempi disperati. La disperazione si respira per le strade come negli uffici ed è delle peggiori in assoluto: più del baccano di odiatori da condominio elevato a vox populi, è l’esagitato silenzio delle anime a dipingere un quadro fosco della realtà. Persi tutti i punti di riferimento, siamo una civiltà alla ricerca di una via d’uscita. Le élite spaventate da un mondo troppo grande per le loro capacità si chiudono nei castelli fisici e sociali: meglio governare un popolo debole e impaurito se vuol dire essere certi di sopravvivere alla grande onda. Che sia climatica, sociale o economica, arriva cavallone dopo cavallone. Nel mezzo della tempesta restano gli altri, tutti. Persino gli antivalori sono morti: il mito del denaro che permeava la cultura di fine Novecento è morto come morirono i lumi settecenteschi di fronte al Romanticismo. Sopravvive qui e là come parte di ragionamenti più ampi, tanto ampi da sembrare il vacuo discorrere degli scrittori barocchi. Ma è proprio in mezzo a questo buio che la festa della Repubblica riprende il suo vero valore e diciamo viva la festa della Repubblica: siamo uniti nel nostro destino. Di fronte a un mondo composto da miliardi di individualità distinguibili solo dal possesso della borsa di Prada, ci siamo riversati nei social. Instagram, per citarne uno, ha capito quanto servisse a un’umanità che si sente ignorata qualcuno che almeno virtualmente le desse importanza. E grazie a questa intuizione i suoi proprietari hanno guadagnato miliardi lasciano le persone ancora più sole perché si sono illuse di avere l’attenzione di milioni di loro simili. La festa della Repubblica invece richiama all’unità fisica e morale di un popolo, dove le differenze regionali diventano la forza delle competenze millenarie affinate dalla Storia per unirsi in un unico coro. Il tenore e il soprano intonano insieme e vicini una melodia: Insieme e Vicini. Non secondo il geolocalizzatore, ma secondo i nostri sensi. Vedere le persone, ascoltarle, annusarle, toccarle, avere un assaggio di quanto si possa avere in comune con gli altri senza preoccuparsi prima del proprio orticello. Viva la festa della Repubblica perché ci ricorda che potremmo considerare il nostro vicino come colui che regge lo scudo che ci protegge il fianco, prima di quello che ci ha fregato un posto macchina migliore. La festa della Repubblica ci ricorda che possiamo pensare a qualcosa di più alto, più liberatorio, di un commento, una foto o un video sul sito di una società privata. Una prospettiva non serve solo a trovare la direzione, ma l’equilibrio e la forza interiore che l’Occidente ha perso quando ha ucciso i suoi Dei. La festa della Repubblica testimonia che non tutto è perduto, che l’esagitato silenzio delle anime può essere calmato riportando la luce negli occhi nei cuori di chi è perso nel buio. Per questo ripetiamo una volta ancora: viva la festa della Repubblica!