Nome dell'autore: Alessandro Amato

Laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli, ha superato l'esame per l'abilitazione allo svolgimento della professione forense. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Torino ed esercita prevalentemente presso i Fori di Torino e Cuneo, opera costantemente anche nel resto d’Italia seguendo la gestione di numerosi contenziosi per conto di società di rilevanti dimensioni. Esperto nell’ambito del diritto civile ed in particolare nel settore bancario, delle esecuzioni immobiliari, fallimentare, famiglia, oltre che nel campo del recupero crediti per conto di aziende. Svolge assistenza anche in materia contrattualistica e della proprietà, nonché nell'avvio e nella gestione di giudizi di risarcimento danni e di accertamento del credito.

Emergenza Covid-19: come cambiano le visite ai figli per i genitori separati?

L’emergenza sanitaria in corso ha destabilizzato le dinamiche delle famiglie divise, favorendo i contrasti sulla gestione dei figli. La situazione di incertezza, dovuta alle difficoltà interpretative dei diversi interventi normativi, ha determinato, in alcuni casi, un acuirsi di situazioni già conflittuali.Le restrizioni governative sugli spostamenti per contenere l’epidemia hanno costretto i Tribunali a bilanciare i diritti del minore alla bigenitorialità e alla salute. Si è posto fin da subito all’attenzione il problema dell’incidenza della normativa emergenziale rispetto alla disciplina relativa ai rapporti fra figli e genitori separati, contenuta in provvedimenti provvisori o definitivi, emessi in giudizi di separazione, divorzio, affidamento o modifiche degli stessi. Se, infatti, l’emergenza sanitaria può essere invocata per giustificare il mancato esercizio di visita da parte del genitore non collocatario, è altrettanto vero che non può costituire una scusa per impedire di vedere i figli e ciò soprattutto in assenza di un provvedimento eventualmente modificativo di quello già in essere. Vi è, inoltre, l’esigenza di tutelare i genitori medesimi da possibili sanzioni per effetto degli spostamenti. Da una parte vi è il timore di esporre i figli al contagio e dall’altra quello che si strumentalizzi la situazione per escludere l’ex dalla loro vita. In tema di affido e collocamento dei minori si è già formata giurisprudenza a tutela della salvaguardia del diritto di visita dei genitori. Il Tribunale di Milano, con provvedimento reso in via d’urgenza l’11 marzo 2020, ha rigettato l’istanza di un genitore volta ad ottenere la limitazione del diritto di visita dell’altro in ragione della situazione derivante dalla pandemia di COVID-19 e del rischio di contagio. Il Tribunale si è pronunciato inaudita altera parte disponendo di attenersi alle prescrizioni di cui al verbale di separazione consensuale, ritenendo vincolante, ai fini del collocamento e frequentazioni con il padre, il predetto accordo, motivando che i decreti ministeriali dell’8 e del 9 marzo non vietano l’esercizio di tale diritto.Altrove, però, i giudici hanno iniziato a pronunciarsi in senso diverso: sospensione degli incontri protetti (Tribunale di Matera, 12 marzo 2020), sostituiti da video call o collegamenti Skype con il genitore non convivente (Corte di Appello di Lecce, 20 marzo 2020). Il Dpcm del 22 marzo ha, poi, bloccato gli spostamenti tra Comuni diversi, salvo che per comprovate esigenze lavorative, assoluta urgenza o ragioni di salute. È il lockdown, confermato dal Dpcm del 10 aprile 2020, che consolida il trend giurisprudenziale della prevalenza del benessere fisico dei minori. Così, si sono moltiplicati i provvedimenti che hanno reputato necessario interrompere gli incontri: “Sul diritto di visita del padre prevale la tutela del diritto alla salute del minore, per cui è legittimo interrompere le visite al figlio, fino al superamento dell’emergenza epidemiologica da coronavirus in corso; sarà possibile sopperire a tale situazione, utilizzando videochiamate o Skype”. Questo è quanto precisato dal Tribunale di Bari nell’ordinanza depositata il 26 marzo 2020. Analogamente il Tribunale di Napoli, 26 marzo 2020, Est. Imperiali, ha ritenuto che, nell’attuale contesto di divieti alla circolazione imposti dalla normativa nazionale e regionale, la disciplina delle visite non potesse più prevedere gli spostamenti dei minori, né, di fatto, le frequentazioni presso il domicilio del genitore collocatario. Accogliendo l’istanza di sospensione avanzata dalla madre collocataria, il Tribunale partenopeo ha disposto che la frequentazione genitori-figli fosse assicurata con colloqui da remoto mediante videochiamata). Giova, però, rilevare che i collegamenti da remoto sono soluzioni da adottare solo se non sia possibile incontrare i figli in sicurezza. Le proroghe delle attuali restrizioni al 13 aprile 2020, poi successivamente al 3 maggio, hanno visto, contestualmente, un intervento, da molti auspicato, da parte del Governo. Nelle FAQ pubblicate sul sito istituzionale lo scorso 2 aprile si legge: «Gli spostamenti per raggiungere i figli minorenni presso l’altro genitore o comunque presso l’affidatario, oppure per condurli presso di sé, sono consentiti anche da un Comune all’altro. Tali spostamenti dovranno in ogni caso avvenire scegliendo il tragitto più breve e nel rispetto di tutte le prescrizioni di tipo sanitario (persone in quarantena, positive, immunodepresse etc.), nonché secondo le modalità previste dal giudice con i provvedimenti di separazione o divorzio o, in assenza di tali provvedimenti, secondo quanto concordato tra i genitori». Si chiarisce, quindi, la legittimità degli spostamenti tra Comuni diversi, considerando anche equipollente al provvedimento del Giudice, lo scambio di accordi tra genitori o tra i rispettivi legali. Un primo segnale in tal senso era percepibile con l’inserimento nell’ultimo modello di autodichiarazione, tra i vari motivi legittimanti gli spostamenti, degli “obblighi di affidamento di minori”. Il diritto alla salute può considerarsi di uguale importanza rispetto ad altri diritti fondamentali, come quello alle relazioni familiari, ancor di più in un momento che mette a dura prova anche l’equilibrio psicofisico dei figli minori. Resta in ogni caso centrale il principio del superiore interesse del minore. Le soluzioni devono essere fondate sul buon senso e sulla ragionevolezza, considerando le specificità del caso concreto, evitando di esporre i minori a situazioni di potenziale maggior rischio.

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Coronavirus e sospensione mutui prima casa

Il decreto “Cura Italia” prevede misure a sostegno del Paese e delle categorie che rischiano di subire maggiormente le conseguenze dell’attuale emergenza sanitaria. Le misure straordinarie previste dalla manovra riguardano anche chi ha un mutuo prima casa e si trova in questo momento in gravi difficoltà nel sostenere l’impegno economico delle rate. Già con il DL 9/2020 recante “Misure urgenti di sostegno per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19” era stata prevista la possibilità di richiedere la sospensione per 9 mesi delle rate del mutuo “prima casa” in favore dei lavoratori dipendenti che si erano visti sospendere o ridurre l’orario di lavoro per almeno trenta giorni. Con il nuovo decreto “Cura Italia” (18/2020) è stata ampliata tale possibilità anche ai lavoratori autonomi che certifichino di aver subìto perdite pari al 33% sul fatturato trimestrale. Probabilmente basterà un’autocertificazione per le partite IVA che dovranno dichiarare di aver registrato in un trimestre (o in un minor lasso di tempo) successivo al 21 febbraio 2020 una riduzione del proprio fatturato superiore al 33% di quello risalente all’ultimo trimestre 2019, a causa delle restrizioni introdotte per contenere l’emergenza da coronavirus. Potrà presentare la domanda di accesso ai benefici del fondo di solidarietà per la sospensione del pagamento delle rate dei mutui per l’acquisto della prima casa (istituito con la legge 244/2007, cd. fondo Gasparrini) il proprietario di un immobile adibito ad abitazione principale, titolare di un mutuo contratto per l’acquisto dello stesso immobile di importo non superiore a 250.000,00 euro e in possesso di indicatore Isee non superiore a 30mila euro (quest’ultimo requisito reddituale è stato però eliminato per tutto l’anno 2020). Il mutuo deve, inoltre, essere in ammortamento da almeno un anno al momento della presentazione della domanda. Ed è ammissibile anche il titolare del contratto di mutuo già in ritardo nel pagamento delle relative rate, purché il ritardo non superi i 90 giorni consecutivi. Al fondo di solidarietà presso il ministero dell’Economia e delle Finanze (e gestito da Consap S.p.A.) sono stati affidati altri 400 milioni di euro che si aggiungono ai circa 25 milioni residui. Nonostante, però, i decreti legge siano immediatamente operativi, per poter presentare domanda bisognerà attendere qualche settimana perché sono attesi dei necessari chiarimenti sulle modalità attuative delle nuove disposizioni. Finita la sospensione il mutuatario riprenderà (applicando i tassi che ci saranno in quel momento) a pagare le rate partendo dalla quota capitale residua lasciata al momento della domanda e il piano di ammortamento verrà quindi allungato di un periodo pari alla durata della sospensione. Come segnalato dagli esperti di Facile.it, la richiesta di sospensione è un’opzione che dovrebbe essere utilizzata solo se effettivamente necessaria. Accedere al fondo potrebbe infatti significare, per alcuni, precludersi la possibilità di surrogare il mutuo non solo durante il periodo di sospensione, ma anche in futuro. “Sebbene ci si trovi in una situazione senza precedenti e vada detto che il mondo bancario, in periodi come questi, ha sempre grande comprensione dei mutuatari e si adoperi per trovare delle soluzioni”, spiega Umberto Stivala, esperto di mutui di Facile.it, “è bene evidenziare che, in passato, ci sono stati istituti di credito che hanno negato la surroga a mutuatari che anni prima avevano fatto ricorso al Fondo di solidarietà per la sospensione delle rate”. Un’alternativa potrebbe essere quella di attendere che termini il periodo di criticità per poi richiedere una surroga o una rinegoziazione, se necessario allungando il piano di ammortamento. Aumentare la durata dei tempi di restituzione consentirebbe di alleggerire la rata e, stando alle attuali condizioni di mercato, addirittura probabilmente godere di tassi migliori rispetto a quelli validi all’atto dell’erogazione originaria. Chi, invece, attualmente paga rate per credito al consumo (finanziamenti personali e cessioni del quinto) non avrà diritto ad alcuna moratoria. Non è, però, escluso che gli istituti di credito potranno autonomamente adeguarsi alla attuale congiuntura economica, alcune banche hanno infatti già fatto partire una serie di provvedimenti volti ad aiutare i propri clienti.  

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Misure straordinarie per contenere gli effetti negativi di COVID-19 sullo svolgimento dell’attività giudiziaria

Il decreto legge n. 11/2020 recante “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria” è entrato in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione (8 marzo 2020) ed ha fornito in materia di giustizia ulteriori misure rispetto a quelle già contenute nell’art. 10 del Decreto legge n. 9/2020. Tale decreto, però, non appena pubblicato in Gazzetta Ufficiale ha suscitato dubbi interpretativi. La confusione è stata determinata anche dal “Comunicato urgente” diffuso alle 17:30 dell’8 marzo 2020, che indicava la sospensione dei termini per gli atti dei procedimenti rinviati, verbo non presente nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale. In questo contesto, la relazione illustrativa trasmessa ieri dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri al Senato, avente ad oggetto il disegno di legge di conversione, ha fornito alcuni chiarimenti sulle disposizioni introdotte dal d.l. n. 11/2020. È stato infatti precisato che oggetto della sospensione sono tutti i processi civili e penali “pendenti” e non soltanto per quelli “pendenti” con udienza già fissata e da rinviare d’ufficio. Pertanto la sospensione è da intendersi “disposizione di portata generale, riferita a tutti i procedimenti e processi civili e penali pendenti (anche quando non sia fissata udienza nel periodo interessato)” la quale “dispone la sospensione di tutti i termini per il compimento di qualsiasi attività processuale, ivi inclusi gli atti di impugnazione”. Tutte le udienze comprese tra il 9 marzo e il 22 marzo 2020 dei procedimenti civili e penali pendenti (art. 1, comma 1), nonché quelle di fronte alle commissioni tributarie e alle magistrature militari (art. 1, comma 4) sono rinviate d’ufficio, tranne le eccezioni espressamente elencate all’art. 2, comma 2, lett. g). Del pari, nello stesso periodo, sono sospesi tutti i termini per il compimento di qualsiasi atto nell’ambito dei medesimi procedimenti (art. 1, comma 2). Ove il decorso abbia inizio durante il periodo di sospensione, l’inizio stesso è differito alla fine del periodo (art. 1, comma 2, secondo periodo). Il differimento immediato delle udienze è previsto anche per consentire ai capi degli uffici giudiziari di poter adottare le misure organizzative necessarie ad evitare assembramenti all’interno dell’ufficio e contatti ravvicinati tra le persone fino al 31 maggio 2020 (art. 2, comma 1). Per i procedimenti civili, non sono rinviate le udienze relative ad una serie di materie, specificate all’art. 2, comma 2, lett. g), n. 1. Si segnala che non sono, altresì, soggette a rinvio le cause per le quali la ritardata trattazione potrebbe produrre “grave pregiudizio” alle parti. In questo caso, la dichiarazione di urgenza è disposta con decreto non impugnabile: a) del presidente dell’ufficio giudiziario in calce alla citazione o al ricorso per le cause per le quali non sia già stata celebrata alcuna udienza; b) del giudice istruttore o del collegio nel caso in cui siano state già celebrate udienze. Nelle ipotesi in cui 3 non sia ravvisabile la figura del giudice istruttore (controversie del lavoro, e, più in generale, tutte quelle di competenza del Tribunale in composizione monocratica). Per i procedimenti penali, non sono rinviate le udienze indicate all’art. 2, comma 2, lett. g), nn. 2) e 3), ed in particolare quelle: – di convalida dell’arresto o del fermo; – relative a procedimenti nei quali nel periodo di sospensione scadono i termini di cui all’articolo 304 c.p.p. di durata massima della custodia cautelare; – nei procedimenti in cui sono state richieste o applicate misure di sicurezza detentive; Altresì, se i detenuti, gli imputati, i proposti o i loro difensori espressamente richiedano che si proceda, non sono rinviate le udienze: – dei procedimenti a carico di persone detenute; – nei procedimenti in cui sono state applicate misure cautelari o di sicurezza; – nei procedimenti per l’applicazione di misure di prevenzione o nei quali sono state disposte misure di prevenzione; – nei procedimenti a carico di imputati minorenni. Infine, non sono rinviate le udienze nei procedimenti che presentano carattere di urgenza. La dichiarazione di urgenza è fatta dal Giudice o dal Presidente del Collegio, su richiesta di parte. In ogni caso, per maggiori dettagli si rinvia alla scheda di analisi a cura dell’Ufficio Studi del Consiglio Nazionale Forense https://www.consiglionazionaleforense.it/documents/20182/677549/Scheda+di+analisi+decreto+legge+11-2020+%289-3-2020%29.pdf/839660f0-119b-42d2-baa8-6c1cf88265f5  

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Brexit, ora 11 mesi di transizione: le questioni da regolare restano numerose

Alla mezzanotte del 31 gennaio, ora di Bruxelles, è terminata la partecipazione della Gran Bretagna all’Unione europea. È una data che certamente entrerà nei libri di storia. L’accordo di recesso è stato lungamente negoziato e, nel tentativo di ammorbidire almeno temporaneamente l’uscita dall’Unione, prevede un periodo di transizione. Questo periodo durerà sino al 31 dicembre 2020 (salvo un prolungamento di un massimo di due anni che dovrà essere deciso entro il 1° di luglio). L’impatto sul Parlamento europeo è netto. I ministri del Regno Unito non siedono più nelle riunioni ministeriali ed i suoi deputati devono lasciare il Parlamento europeo (il numero di deputati scende da 751 a 705). Dal 1° febbraio 2020 la Gran Bretagna ha quindi cessato anche di far parte dell’area di libera circolazione di persone e merci e, non avendo mai aderito alla Convenzione di Schengen, permane il controllo di documenti di identità in partenza e in arrivo. La carta d’identità resterà accettata per far ingresso nel Regno Unito per l’intero periodo di transizione, mentre dal 2021 sarà necessario esibire il passaporto. I documenti britannici esistenti, come le patenti di guida, resteranno in regola, tuttavia dal primo febbraio il passaporto del Regno Unito non darà più diritto di cittadinanza europea (ed i nuovi documenti britannici non avranno più la dicitura “Unione Europea”). Ancora durante il periodo di transizione, il Regno Unito rimarrà nel mercato unico e nell’unione doganale. Merci e persone potranno attraversare i confini esattamente come è avvenuto sino al 31 gennaio. I beni importati dall’Europa dal primo febbraio 2020 passeranno attraverso una dogana (non è ancora stato stabilito se verranno introdotti dei dazi). Il periodo di transizione servirà anche per negoziare l’accordo di partenariato regolatore dei rapporti dopo il 31 dicembre. L’Europa è pronta a consentire al Regno Unito di accedere al mercato unico, ma solo se Londra si allineerà alle regole comunitarie. È stato, invece, già trovato un accordo sulla protezione delle indicazioni geografiche esistenti. L’Unione Europea è diventata più piccola, ci saranno infatti 66 milioni di cittadini in meno. Nel Regno Unito risiedono 3,5 milioni di cittadini provenienti da Paesi europei, tra questi circa 400mila italiani registrati all’anagrafe consolare, che diventano 700mila se si considerano anche coloro che non sono registrati. Sono state previste importanti salvaguardie per i cittadini britannici che abitano sul continente e per i cittadini europei che vivono in Gran Bretagna. Questi diritti resteranno validi durante e dopo il periodo transitorio, ma potranno anche essere acquisiti durante il periodo transitorio. Per gli italiani residenti ci sarà tempo fino a giugno del prossimo anno per iscriversi al “settlement scheme”, un programma che consente di restare nel Regno Unito e di mantenere tutti i diritti garantiti prima della Brexit. Coloro che risiedono in Gran Bretagna da più di 5 anni avranno diritto alla residenza permanente (cd. “settle status”) ed avranno garantito l’accesso alla sanità pubblica e alla sicurezza sociale. Chi invece vive nel Regno Unito da meno tempo riceverà un permesso temporaneo, una volta trascorsi i 5 anni necessari, potrà richiedere la residenza permanente. Dal 1° febbraio 2020 per trasferirsi nel Regno Unito, per periodi maggiori di 3 o 6 mesi, occorrerà un visto, di lavoro o studio o anche solo turistico. Sarà necessario dimostrare di avere un contratto di lavoro con uno stipendio che di oltre 30mila sterline annue, poiché il governo britannico intende favorire l’immigrazione di lavoratori qualificati. Tutti gli altri lavoratori (come ad es. camerieri, baristi e commessi) per poter risiedere dovranno avere un contratto di lavoro già al momento della partenza. Il programma di studio universitario “Erasmus” nel Regno Unito potrebbe essere soppresso o comunque modificato. L’intenzione è in realtà quella di confermarlo anche oltre il 2020, ma tutto dipenderà dalle intese che saranno negoziate durante i prossimi mesi. Potrebbero, inoltre, aumentare le tasse che gli studenti italiani corrispondono per continuare gli studi nel Regno Unito. Dopo il 2020, gli studenti italiani (ed europei) diventeranno extracomunitari e potrebbero quindi vedere aumentare le tasse da pagare all’università (l’importo potrebbe salire da circa 9 mila sterline l’anno a 10 mila e fino a 38mila per le specializzazioni più elevate).  

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La sospensione dei pignoramenti immobiliari con la rinegoziazione del mutuo

Al ricorrere di specifiche condizioni, il debitore consumatore potrà salvare la sua casa nel caso in cui una banca abbia avviato una procedura esecutiva su un immobile adibito a prima abitazione. Il Decreto legge n. 124/2019, convertito nella legge n. 157/2019 concernente “Disposizioni urgenti in materia fiscale e per esigenze indifferibili” (cd. decreto fiscale) è intervenuto, all’art. 41 bis in tema di “Mutui ipotecari per l’acquisto di beni immobili destinati a prima casa e oggetto di procedura esecutiva” (G.U. n. 301 del 24-12-2019). La normativa affronta le crisi economiche dei consumatori nel caso in cui una banca o una società veicolo (ad es. in caso di cartolarizzazione di crediti), titolare di ipoteca di I grado, abbia avviato una procedura esecutiva immobiliare sulla prima casa di proprietà del debitore. Quest’ultimo potrà chiedere la rinegoziazione del mutuo o un nuovo finanziamento, con surroga nella garanzia ipotecaria esistente, a una banca terza (naturalmente il ricavato dell’operazione dovrà essere utilizzato per estinguere il finanziamento originario). Il nuovo mutuo godrà della garanzia del “Fondo di garanzia per la prima casa” e del beneficio dell’esdebitazione per il debito residuo (e cioè l’annullamento della parte di debito originario non pagata con la provvista del nuovo mutuo). Per poter richiedere l’applicazione della procedura di rinegoziazione: – il debitore dovrà essere un consumatore; – il creditore dovrà essere una banca o una società veicolo; – il debito dovrà essere sorto da un mutuo con garanzia ipotecaria di primo grado sostanziale, concesso per l’acquisto di un immobile destinato ad abitazione principale; – il debitore, alla presentazione della domanda di rinegoziazione / finanziamento con surroga, dovrà aver rimborsato almeno il 10% del capitale originariamente finanziato; – il pignoramento che ha dato avvio all’esecuzione immobiliare dovrà essere stato notificato tra il 1° gennaio 2010 e il 30 giugno 2019; – non vi dovranno essere ulteriori creditori oltre quello procedente (oppure dovrà essere depositato, prima della presentazione dell’istanza di rinegoziazione, la rinuncia all’esecuzione da parte degli altri creditori intervenuti). L’istanza potrà essere presentata una sola volta ed entro il termine perentorio del 31 dicembre 2021. Il debito complessivo, oggetto di rinegoziazione o di rifinanziamento, non dovrà essere superiore ad euro 250.000,00. L’importo offerto non dovrà, inoltre, essere inferiore al 75% del prezzo base della successiva asta ovvero, quando non sia stata ancora fissata l’asta, del valore del bene come determinato nella perizia di stima redatta dall’esperto nominato dal Giudice dell’Esecuzione. Qualora il debito complessivo sia inferiore al 75% dei predetti valori, l’importo offerto non potrà essere inferiore al debito per capitale e interessi calcolati, senza applicazione della percentuale del 75%, quindi, come da piano di ammortamento del mutuo. Il rimborso dovrà avvenire con una dilazione massima di 30 anni, dalla data di sottoscrizione, e non si dovrà superare l’età anagrafica di anni 80 per il soggetto che provvederà alla restituzione. Il debitore dovrà rimborsare integralmente le spese liquidate dal Giudice dell’Esecuzione, anche a titolo di rivalsa, in favore del creditore e si presume, nel caso in cui la procedura sia in corso e tali ausiliari siano stati già nominati, anche in favore dell’esperto stimatore, del professionista delegato alle vendite e del custode. La domanda di rinegoziazione del mutuo potrà anche essere respinta. Nel caso che il debitore non ottenesse la rinegoziazione/rifinanziamento del mutuo, questo potrà essere concesso, alle stesse condizioni e modalità, a un suo parente o affine fino al 3° grado; in questo caso il giudice emetterà decreto di trasferimento a suo favore. Qualora al parente venisse accettata la richiesta di rinegoziazione, diventerebbe il proprietario dell’immobile, ma il debitore avrebbe diritto ad abitare nella casa per cinque anni. Al termine dei cinque anni, se il debitore originario sarà riuscito a restituire il denaro prestato dal parente che ha richiesto la rinegoziazione, potrà riappropriarsi della casa e del residuo del mutuo, ma solo con il consenso della banca. Le imposte di registro, ipotecarie e catastali relative al trasferimento degli immobili conseguenti a tale procedura saranno in misura fissa di euro 200,00, purché venga mantenuta la residenza nella prima casa (il beneficio decadrà se il debitore non manterrà la residenza nell’immobile per almeno cinque anni dalla data del trasferimento in sede giudiziale). Le rinegoziazioni / finanziamenti potranno essere assistite dalla garanzia a prima richiesta del 50% dell’importo della rinegoziazione ovvero della quota capitale del nuovo finanziamento di una sezione speciale del Fondo di garanzia per la prima casa. L’istanza del debitore sarà valutata dal Giudice dell’Esecuzione e richiederà il consenso della banca (dovrà pertanto trattarsi di un’istanza congiunta). Il Giudice dell’Esecuzione, al ricorrere di tutte le condizioni previste, sospenderà l’esecuzione per un periodo massimo di sei mesi. A questo punto il creditore procedente / banca, se verrà richiesta la rinegoziazione del mutuo, entro tre mesi svolgerà un’istruttoria sulla capacità reddituale del debitore, potendo, come detto, anche decidere di rifiutare di aderire all’istanza di rinegoziazione. Sarà però possibile per il debitore chiedere un nuovo mutuo a un’altra banca o finanziaria. La normativa desta alcuni dubbi, soprattutto circa le resistenze che potranno opporre gli istituti bancari a fornire il proprio assenso alle procedure di rinegoziazione. Sarà un decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia e con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita la Banca d’Italia, da emanare entro 90 giorni dall’entrata in vigore della legge di conversione (e cioè entro il 23 marzo 2020), a definire una serie di aspetti essenziali, tra cui: il contenuto e le modalità di presentazione dell’istanza di rinegoziazione, le modalità con cui il giudice procederà all’esame dell’istanza, gli elementi ostativi alla concessione della richiesta di rinegoziazione.

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Tempo di vacanze, cosa fare se vi succede un incidente sciistico?

Durante il periodo natalizio in molti approfitteranno dei giorni festivi per recarsi presso località di montagna e dedicarsi allo sci alpino. Questa attività sportiva comporta una molteplicità di rischi, il più delle volte determinati dalla condotta tenuta sulle piste. Ogni sciatore, al fine di non arrecare danni ed evitare di incorrere in responsabilità, deve avere un comportamento prudente e diligente e ad indossare (per i minori di 14 anni) il casco da sci. Nello svolgimento della pratica sciistica, gli eventi dannosi nei quali si può rimanere coinvolti, oltre alle cadute accidentali, possono ricondursi a condotte, qualificabili (a seconda del rilievo penale o civile che assumono) o come reato o come illecito civile ed essere addebitabili al gestore dell’impianto oppure ad un altro sciatore. Lo scontro maldestro tra sciatori è certamente l’evento di più frequente accadimento e, qualora sia riconducibile alla negligenza, impudenza ed imperizia di uno dei soggetti coinvolti, chi ne subisce le conseguenze dannose potrà attivarsi al fine di tutelare i propri diritti ed ottenere il risarcimento dei danni subiti. Molto spesso ad avere la colpa è chi con comportamento negligente cagiona danno ad altri (ad esempio per il mancato rispetto delle distanze, a causa della eccessiva velocità o di un comportamento imprudente). Qualora avvenga uno scontro tra sciatori la responsabilità andrà provata. Ciascuno avrà l’onere di provare che l’accaduto è riconducibile al comportamento dell’altra parte. Affinché uno degli sciatori coinvolti sia liberato dalla presunzione di colpa concorrente di cui all’art. 2054, comma 2, c.c., è necessario l’accertamento che la condotta di questi sia stata del tutto estranea alla causazione del sinistro stesso. Lo sciatore avrà l’onere di provare, al fine di superare la presunzione di colpa concorrente, di aver fatto tutto il possibile per evitare l’incidente, ossia di aver tenuto una condotta regolare. Infatti, l’accertamento del comportamento colposo di uno dei conducenti non basta per attribuirgli la colpa esclusiva dell’incidente, essendo a tal fine necessario che l’altro fornisca la propria prova liberatoria. Il danneggiato potrà fare valere il proprio diritto al risarcimento danni e risulterà applicabile la normativa dettata dalla cd. legge sulla pratica dello sci (legge n. 363 del 24/12/2003). Tale legge all’art. 9 prescrive che ogni sciatore deve tenere una condotta che, in relazione alle caratteristiche della pista ed alla situazione ambientale, non costituisca pericolo per l’incolumità altrui. Il successivo art. 10 prescrive che lo sciatore a monte deve mantenere una direzione che gli consenta di evitare collisioni o interferenze con lo sciatore a valle (tali regole corrispondono in realtà al decalogo FIS, le quali risultano essere internazionalmente riconosciute). In caso di concorso di colpa ognuno degli sciatori coinvolti dovrà corrispondere un risarcimento pari alla metà del danno subito dall’altro. Ricostruire la dinamica di un incidente sciistico non è cosa semplice, soprattutto in assenza di testimoni e quando nessuna delle parti è intenzionata ad assumersene la responsabilità. L’accertamento del comportamento colposo di uno dei conducenti è necessario e va provato (ad esempio con il verbale redatto dalle forze dell’ordine o con prova testimoniale). In caso di incidente sciistico ed al fine di individuare le responsabilità, sarà opportuno chiamare i soccorsi, recarsi eventualmente in ospedale, raccogliere materiale fotografico e le generalità di ulteriori utenti presenti in pista per future testimonianze. Anche le forze dell’ordine eventualmente intervenute sul luogo dell’incidente potranno identificare gli sciatori coinvolti ed avvalersi dei testimoni presenti per chiarirne la dinamica e le responsabilità. Qualora il responsabile fosse coperto da polizza assicurativa verso terzi, sarà quest’ultima a pagare i danni causati dal proprio assicurato e a risarcire il danneggiato. Diversamente, sarà il responsabile dell’incidente ad adempiere direttamente all’obbligo di risarcimento dei danni (è consigliabile a tutti gli sciatori di informarsi con il gestore dell’impianto, sulle specifiche condizioni offerte dall’assicurazione sci e dall’assicurazione giornaliera). Il danneggiato potrà agire per il risarcimento di tutti i danni patiti a causa del sinistro e potrà ottenere anche il risarcimento del danno biologico, così come accertato da un medico legale, distinguendo tra inabilità temporanea (la riduzione della capacità durante il percorso di guarigione) e inabilità permanente (le menomazioni fisiche non più perfettamente guaribili). A ciò si aggiungeranno anche i danni patrimoniali derivati dalla (forzata e prolungata) incapacità lavorativa, oltre al rimborso di tutte le spese determinate dall’incidente (è fondamentale documentare in maniera adeguata le perdite subite, come anche tutte le eventuali spese sostenute). I danni in caso di incidente sciistico causato da una cattiva manutenzione della pista saranno invece addebitabili al gestore dell’impianto. Il contratto di skipass è un contratto vero e proprio e viene stipulato tutte le volte in cui l’utente compra un biglietto per utilizzare gli impianti di risalita di una stazione sciistica. Se prima dell’introduzione del contratto di skipass la responsabilità del gestore era di tipo extracontrattuale ora invece è di tipo contrattuale. Ciò determina una serie di vantaggi per il danneggiato. Nella responsabilità contrattuale non spetta infatti al danneggiato dimostrare il danno ed il nesso causale (dovrà solo essere dimostrato che l’incidente si sia verificato sulla pista), ma anzi spetta al proprietario dell’impianto dimostrare che l’incidente sia stato conseguenza di una causa a lui non imputabile, diversamente sarà tenuto al risarcimento dei danni per inadempimento.

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