Nome dell'autore: Alessandro Amato

Laureato presso la Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Napoli, ha superato l'esame per l'abilitazione allo svolgimento della professione forense. Iscritto all’Ordine degli Avvocati di Torino ed esercita prevalentemente presso i Fori di Torino e Cuneo, opera costantemente anche nel resto d’Italia seguendo la gestione di numerosi contenziosi per conto di società di rilevanti dimensioni. Esperto nell’ambito del diritto civile ed in particolare nel settore bancario, delle esecuzioni immobiliari, fallimentare, famiglia, oltre che nel campo del recupero crediti per conto di aziende. Svolge assistenza anche in materia contrattualistica e della proprietà, nonché nell'avvio e nella gestione di giudizi di risarcimento danni e di accertamento del credito.

La riforma del processo civile

Nella seduta del 5 dicembre 2019 il Consiglio dei ministri, su proposta del ministro della giustizia Alfonso Bonafede, ha approvato un disegno di legge di delega al Governo per l’efficienza del processo civile e per la revisione della disciplina degli strumenti di risoluzione alternativa delle controversie. Obiettivo della riforma, che si sviluppa in 15 articoli, è di consentire speditezza, semplificazione e razionalizzazione. Ecco le novità più rilevanti: l’eliminazione del rito Fornero per i licenziamenti illegittimi, la riduzione dei riti, la sostituzione dell’atto di citazione con il ricorso e l’introduzione di un’ammenda per le querele temerarie. In particolare, il contenuto del d.d.l. riguarda i seguenti punti chiave: rendere il processo più celere: riducendo i termini per svolgere le diverse fasi, incidendo sullo svolgimento dell’attività del giudice e delle parti anche attraverso l’utilizzo degli strumenti telematici; incentivare il ricorso agli strumenti di risoluzione alternativa delle controversieper alcune materie (la mediazione è resa obbligatoria nelle controversie derivanti da contratti di mandato e rapporti di mediazione) ed escluderne l’obbligo in altri ambiti ove tali strumenti si sono rivelati poco efficaci, quali la responsabilità sanitaria, i contratti finanziari, bancari e assicurativi; semplificare e accelerare la disciplina del processo di cognizione di primo grado dinanzi al tribunale in composizione monocratica. In particolare è prevista la sostituzione del procedimento ordinario di cognizione con un rito semplificato; ridurrei casi in cui il tribunale giudica in composizione collegiale e prevedere, anche per il procedimento collegiale, l’utilizzo del ricorso come atto introduttivo; assimilare il processo davanti al giudice di paceal modello previsto dinanzi al tribunale in composizione monocratica, eliminando il tentativo obbligatorio di conciliazione; prevedere disposizioni per ridurre i tempi e i costi della procedura di espropriazione immobiliarequali l’autorizzazione del giudice nei confronti del debitore a vendere direttamente il bene pignorato senza pregiudicare le garanzie dei creditori; introdurre uno speciale procedimento di mediazione in materia di scioglimento delle comunioni. In caso di esito negativo dello stesso, ilmediatore deve redigere una relazione finale da utilizzare nel successivo procedimento contenzioso. comminare specifiche sanzioni nei casi diresponsabilità aggravata delle parti e dei terzi, riconoscendo quale soggetto danneggiato l’amministrazione della Giustizia, valorizzando il dovere di leale collaborazione. Si tratta di un disegno di legge delega a cui il Governo dovrà dare attuazione con uno o più decreti legislativi da varare entro un anno dalla data di entrata in vigore della riforma. Forse la novità più rilevante della riforma è l’eliminazione dell’atto di citazione, da sostituire con un ricorso. Ciò potrebbe alleggerire il carico di lavoro di avvocati, giudici e cancellieri (per alcuni scettici, però, l’eliminazione dell’atto di citazione non velocizzerà i processi e non garantirà la certezza della presa in carico entro 90 giorni, poiché la data dell’udienza potrà essere fissata arbitrariamente dai giudici). Significative novità anche in tema di diritto del lavoro, in particolare nella disciplina del licenziamento. Nel testo della riforma emerge la volontà di eliminare definitivamente il rito Fornero, il quale stabiliva una corsia preferenziale per la trattazione delle controversie sul licenziamento illegittimo. Con la riforma del processo civile invece si tornerà al rito unico, cosa che, almeno secondo i sostenitori del progetto, dovrebbe velocizzare i procedimenti e quindi alleggerire il carico giudiziario. La riforma mira anche a potenziare il processo civile telematico e quindi eliminare, dove possibile, la produzione del cartaceo. Il nuovo processo civile prevede, infatti, il divieto agli ufficiali giudiziari di produrre le copie cartacee quando il destinatario dell’atto possiede un indirizzo di posta elettronica certificata.  

La riforma del processo civile Leggi tutto »

La Direttiva europea PSD2 ed i conti corrente online

Lo scorso 14 settembre sono entrate in vigore anche in Italia le nuove norme della direttiva europea PSD2 (Payment Services Directive 2) per i conti corrente online al fine di garantire una maggior sicurezza e trasparenza dei movimenti di denaro in Europa. La Commissione UE riferisce in una nota: “I consumatori europei saranno più protetti contro le frodi online, e avranno miglior accesso a forme più innovative di pagamenti online e via smartphone”. La Direttiva impone alle banche maggiori misure di sicurezza affinché le transazioni realizzate con dispositivi elettronici possano essere più protette contro eventuali frodi. Per far fronte all’aumento dei rischi e delle truffe per i consumatori, la normativa introduce due nuovi sistemi di autenticazione semplici e sicuri: “3ds 2.0” e “SCA” (Strong Customer Authentication, ovvero autenticazione forte). Per spiegare agli utenti in cosa consista “l’autenticazione forte” e quali siano le novità sui servizi di pagamenti l’Abi insieme a 17 associazioni dei consumatori ha realizzato un’infografica sulle ultime novità della direttiva. Tutti i pagamenti digitali dovranno essere autorizzati con almeno 2 elementi di autenticazione a scelta fra 3 diverse opzioni: un oggetto che possiede solo il cliente (lo smartphone); una caratteristica che possiede solo il cliente (l’impronta digitale o un altro fattore biometrico) o un’informazione nota solo al cliente (una password). La chiavetta (il cosiddetto “token”) verrà sostituita da un sistema di codici che, tramite smartphone, garantiranno immediato riscontro tra banca e cliente in ogni operazione. Si dovrà ricorrere al token mobile, una password valida per un solo utilizzo generata in modo automatico dall’app dell’istituto di credito. Il nuovo sistema d’identificazione basato su due fattori è divenuto obbligatorio per tutti i pagamenti online e mobile superiori a 30 euro. Solo quelli di piccolo importo, ricorrenti o destinati a beneficiari di fiducia indicati dall’utente e i pagamenti di parcheggi e trasporti non rientrano nelle nuove regole della PSD2. Mentre per l’online banking, la direttiva europea è già in vigore, per gli acquisti sul web fatti con carta di credito, è previsto un passaggio graduale alle nuove regole di sicurezza. La Direttiva ha introdotto anche un’importante novità: il rimborso dei pagamenti non autorizzati, fatti ad esempio con strumenti smarriti o rubati, entro 24 ore dalla notifica del cliente e con franchigia ridotta da 150 a 50 euro. Il settore finanziario attraversa un periodo di notevole cambiamento, visibile nella nascita di aziende e servizi sempre più avanzati. La Direttiva ha obbligato gli operatori finanziari tradizionali ad investire importanti risorse in innovazione tecnologica al fine di sfruttare le possibilità che sono state consentite. L’utilizzo dei pagamenti digitali sta aumentando a livello internazionale. La crescita si registra anche in Italia, sebbene ad un tasso inferiore rispetto all’estero. L’Italia è infatti ancora in fondo alla classifica dei pagamenti digitali, con un tasso di utilizzo ben inferiore rispetto alla media europea. La Direttiva abilita inoltre l’open banking, il cui obiettivo è quello di innovare e rendere le transazioni bancarie all’interno dell’Unione Europea meno costose, maggiormente efficienti, facili e sicure. Ciò viene reso possibile attraverso l’apertura delle interfacce di programmazione (API – Application Program Interface) delle banche alle aziende fintech, per consentire l’estensione di servizi come i suggerimenti finanziari o l’automazione dei pagamenti (naturalmente i clienti delle banche dovranno fornire il loro esplicito consenso a queste nuove aziende, per permettere loro di accedere ai dati bancari). Il consumatore dall’entrata in vigore della Direttiva ha maggiori possibilità di scelta sulle modalità di pagamento di prodotti e servizi, su finanziamenti anche di piccoli importi e sulla gestione dei propri risparmi. Con la PSD2 le informazioni interne alla banca divengono del cliente. In particolare, la Direttiva prevede che banche o istituti di pagamento, autorizzati dalla Banca d’Italia o da un’altra Autorità europea competente, possano offrire: servizi dispositivi, cioè l’avvio di pagamenti online per conto degli utenti; servizi informativi, che forniscono informazioni aggregate di uno o più conti online, anche tenuti presso banche diverse e consentono all’utente di avere una situazione finanziaria aggiornata in un unico ambiente come una app; servizi di conferma disponibilità fondi, nel caso in cui l’utente abbia una carta di debito emessa da un istituto diverso da quello presso il quale ha il conto. L’open banking consente, infatti, a nuovi operatori del mondo fintech (ed anche a banche completamente digitali) di entrare nel mercato dei pagamenti in modo da stimolare la concorrenza e la creazione di nuovi servizi ed il miglioramento di quelli già offerti. Le persone fisiche e le imprese che hanno un conto corrente online potranno scegliere tra i servizi offerti dalla propria banca ma anche da altre banche e da altri soggetti, definiti “Terze Parti” acconsentendo loro di accedere ai dati finanziari. Servizi che possono andare dalla semplice informativa – per ottenere finanziamenti, leasing, garanzie – al pagamento di beni e servizi, alla stipula di assicurazioni, fino ad arrivare all’offerta di prodotti finanziari su misura. L’introduzione del PSD2 e dell’open banking riguarderà anche lo shopping online, che potrà divenire più economico. Al momento dell’acquisto, infatti, il rivenditore preleverà direttamente i soldi dalla carta di credito o dal conto online in maniera rapida, senza commissioni e senza intermediari, previo permesso del titolare della carta. Inoltre, varierà la gestione dei conti: con l’open banking sarà possibile aggregare e gestire differenti carte su un’unica piattaforma, anche nel caso in cui i conti appartengano a banche diverse.  

La Direttiva europea PSD2 ed i conti corrente online Leggi tutto »

Il diritto all’oblio. Come e quando si può ottenerlo

Il diritto all’oblio è il diritto di ciascuno ad essere “dimenticato” e si concretizza mediante la rimozione di tutti i link ed i riferimenti che rimandano ad un contenuto online ritenuto lesivo. Di tale diritto può parlarsi quando sia venuta meno l’attualità della notizia, quando l’esposizione dei fatti non sia commisurata all’esigenza informativa o risulti lesiva della dignità dell’interessato o quando la notizia – pur inizialmente diffusa nel rispetto delle condizioni poste al diritto di cronaca – sia stata ripubblicata a distanza di tempo con modalità lesive senza che la stessa sia tornata di interesse pubblico. Il diritto all’oblio è divenuto fondamentale soprattutto per Internet e per i siti d’informazione, poiché gli archivi digitali, indicizzati dai motori di ricerca, sono molto più facili da consultare rispetto a quelli cartacei e rimangono perennemente accessibili. La rete annulla la distanza temporale tra una pubblicazione e la successiva, ospitando notizie anche risalenti, spesso superate dagli eventi e quindi non più attuali. Ciò fa sì che quando si cercano informazioni su una persona si possa rapidamente arrivare a vecchi articoli nei quali si raccontano fatti di cronaca che potrebbero essere oggi ritenuti sconvenienti dal soggetto interessato. Accogliendo un ricorso presentato dalla Spagna, nel 2014 la Corte di Giustizia dell’Unione Europea ha stabilito che i cittadini europei hanno il diritto di richiedere che alcune informazioni siano rimosse se queste sono “non adatte, irrilevanti o non più rilevanti”. La nota sentenza “Google Spain” del 13/05/2014 di fatto ha stimolato il Legislatore europeo ad elevare al rango di norma comunitaria il diritto all’oblio. È stato, infatti, stabilito che i diritti dell’interessato derivati dagli articoli 7 e 8 della Carta dei Diritti fondamentali dell’UE (rispettivamente “Rispetto della vita privata e della vita familiare” e “Protezione dei dati di carattere personale”) “prevalgono, in linea di principio, non soltanto sull’interesse economico del gestore del motore di ricerca, ma anche sull’interesse di tale pubblico ad accedere all’informazione suddetta in occasione di una ricerca concernente il nome di questa persona”. I giudici hanno sancito che se cercando qualcosa sul proprio conto su internet si trovi un contenuto segnalato nella pagina dei risultati che si ritenga non rilevante, deve essere possibile chiederne la “deindicizzazione”, ovvero la rimozione dalla lista dei risultati forniti. Se il motore di ricerca non rispetta la richiesta, il cittadino ha il diritto di presentare ricorso presso le autorità competenti per avviare un procedimento giudiziario. In buona sostanza, se un soggetto trova una notizia su Google che rimanda a un vecchio caso di cronaca che lo ha coinvolto, può chiedere al motore di ricerca che quel contenuto non compaia più nella pagina dei risultati quando qualcuno cerca il suo nome (l’articolo non sarà cancellato dal sito che lo ha pubblicato, ma semplicemente nessuno potrà arrivarci attraverso il motore di ricerca). Google ha il dovere di esaminare la richiesta (e molte volte la stessa viene accettata; da tempo infatti al fondo dei risultati è possibile trovare una nota che segnala che alcune pagine potrebbero essere state rimosse dalla lista). Dal 2014 ad oggi, sempre più rilevante è stato il ricorso a questo rimedio per garantire il “diritto al ridimensionamento della propria visibilità mediatica” (negli ultimi cinque anni, Google ha ricevuto oltre 850mila distinte richieste di deindicizzazione, che hanno interessato link verso 3,3 milioni di siti). La società decide volta per volta in autonomia, cercando di rispettare le indicazioni della Corte e affrontando le numerose cause intentate da chi si è visto rifiutare la richiesta di rimozione. Se, infatti, Google ritiene che l’interesse pubblico per l’articolo superi l’interesse del singolo che vorrebbe invece farlo rimuovere, può anche rifiutare la richiesta. Il singolo può quindi chiedere a un giudice terzo di occuparsene. La mole di richieste ha confermato i timori di molti osservatori sul rischio che le regole indicate dalla Corte sul diritto all’oblio online potessero essere utilizzate in modo arbitrario per chiedere la rimozione di contenuti limitando la libertà di stampa e il diritto di cronaca. Quando Google rifiuta una richiesta di deindicizzazione, avviene spesso che gli interessati si mettano in contatto con i gestori dei siti chiedendo che provvedano loro a escludere i contenuti dai motori di ricerca. In mancanza di un quadro normativo chiaro e con la prospettiva di dover sostenere spese legali, spesso i siti accolgono le richieste, limitando la loro funzione informativa e di fatto autocensurandosi. E proprio questo aspetto è stato sviluppato dalla Corte di Giustizia, con alcune implicazioni particolarmente rilevanti per la cronaca giudiziaria. Il profilo della persona, stilato dal motore di ricerca organizzando le notizie indicizzate, deve secondo la Corte rifletterne la condizione (anche giudiziaria) attuale, rimuovendo quindi i link ad articoli non aggiornati all’evoluzione processuale, ogniqualvolta l’impatto negativo sull’identità sia sproporzionato rispetto all’esigenza di agevole reperibilità della notizia. Così, anche qualora non si debba deindicizzare, le informazioni restituite dal motore di ricerca dovranno essere visualizzate in modo da riflettere la posizione giudiziaria attuale della persona. La notizia dell’assoluzione non deve, ad esempio, essere posta in coda a una pluralità di link più risalenti, relativi all’imputazione, alle misure cautelari, persino alla condanna non definitiva. Dev’essere, insomma, il criterio dell’esattezza e dell’aggiornamento a governare l’algoritmo dei motori di ricerca. Il diritto all’oblio è stato disciplinato anche dall’art. 17 del GDPR (Regolamento Generale sulla protezione dei dati personali, operativo per tutti gli Stati UE a partire dal 25 maggio 2018), che ha introdotto espressamente il “diritto alla cancellazione (<diritto all’oblio>)”. L’ambito di operatività della deindicizzazione è stato recentemente limitato dalla Corte di Giustizia alle sole pagine europee dei motori di ricerca. La sentenza del 24/09/2019, pronunciata in esito alla causa C-507/17 “Google LLC Vs CNIL”, ha infatti stabilito che il gestore di un motore di ricerca, quando accoglie una domanda di deindicizzazione in applicazione dell’art. 17 del GDPR “è tenuto ad effettuare tale deindicizzazione non in tutte le versioni del suo motore di ricerca, ma nelle versioni di tale motore corrispondenti a tutti gli Stati membri […] con misure che […] permettano effettivamente di impedire agli utenti di Internet, che effettuano una ricerca sulla base del nome dell’interessato

Il diritto all’oblio. Come e quando si può ottenerlo Leggi tutto »