Nome dell'autore: Michelangelo Bonessa

Giornalista per inclinazione allo scrivere e al non essere allineato, direttore editoriale dell'Osservatore Meneghino per le mille e imperscrutabili vie della vita. Ho scritto per Narcomafie, Corriere, Giornale, Fattoquotidiano, LaPrealpina, Stile, 2duerighe.com, MilanoPost, l'Esagono e molti altri.

Rapina all’ufficio postale in pieno giorno

Una rapina all’ufficio postale in pieno giorno. In viale San Giminiano i dipendenti dell’ufficio postale si sono trovati improvvisamente in uno scenario di altri tempi: un uomo armato di pistola è entrato a volto coperto e li ha rapinati. Un bottino consistente per un colpo così semplice nella sua esecuzione: 64mila euro. Un evento che Fratelli d’Italia non ha mancato di stigmatizzare per bocca di Riccardo De Corato, assessore a Sicurezza, Immigrazione e Polizia Locale di Regione Lombardia:”Rapina in pieno giorno a Milano nell’ufficio postale in viale san Giminiano. Rapina da 64 mila euro ad opera di un uomo che è entrato armato di pistola con il volto coperto si è fatto consegnare i contanti da due dipendenti che si sono sentiti male per lo spavento e per questo sono stati ricoverati all’ospedale. Purtroppo all’arrivo della Polizia il delinquente era già scappato con la refurtiva. Questi episodi sono la dimostrazione piu’ evidente che invece di essere a Milano sembra di essere a Chicago ai tempi di Al Capone. Se continueremo così, chissà dove andremo a finire”. Un gesto forse di un disperato, forse di un delinquente abituale, ma che senz’altro ha gettato altra paura in chi vive nella zona. Paura che non serviva, soprattutto in un periodo elettorale dove le tensioni si acuiscono con l’avvicinarsi del giorno del voto. L’ultima rapina in un ufficio postale in pieno giorno, in ogni caso, non mancava a nessuno.

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Lo striscione di oltraggi

Sono giorni funesti per l’Italia. E a Milano anche di più, presa com’è da una serie di atti a dir poco oltraggiosi. Ad aprire le danze sono stati gli ultras della Lazio, giunti a Milano per la semifinale di Coppa Italia: hanno disteso per pochi minuti uno striscione con scritto “ONORE A BENITO MUSSOLINI”. Le polemiche sono subito esplose per una provocazione che ha colpito nel segno visto il calendario. Intanto mentre una minoranza di una minoranza, perché non tutti i tifosi della Lazio sono fascisti (e pure tra chi è di destra c’è chi non sarà stato d’accordo), ha centrato l’obbiettivo di finire su tutti i giornali e canali comunicativi. Un oltraggio al 25 aprile perpetrato con la complicità degli stessi che hanno reso Salvini un fenomeno mediatico. Poi sono arrivati i geni di Facebook con la brillante idea di pubblicare la foto dello striscione capovolta, un chiaro riferimento alla fine del Duce appeso in piazzale Loreto per lo spasso degli stessi che poco prima riempivano le piazze dove straparlava nei suoi comizi. Anche diversi giornalisti di testate importanti lo hanno fatto, un altro oltraggio al loro mestiere, alle loro aziende e, più grave, ai loro lettori. Chi ha studiato la Storia poi sa che questo non è stato un Paese antifascista, fino alle prime sconfitte pesanti la maggioranza della popolazione sosteneva il regime. Caduto il Duce poi siamo diventati tutti partigiani. D’altronde siamo famosi per essere un Paese di traditori avendo sempre cambiato bandiera a seconda delle convenienze nell’ultima guerra. Un altro oltraggio, questa volta all’onestà intellettuale, alla Storia e alla decenza (carattere a cui i milanesi una volta tenevano). Infine aspettiamo l’ultimo oltraggio, quello alla verità. Oggi in tanti sventoleranno, molto probabilmente sui social, bandiere, magliette e cache gorge rossi in omaggio all’ideale comunista. Lenin e Stalin furono più truci persino di animali come Hitler, ma questa informazione sembra non penetrare nelle teste degli italiani. Ancora oggi i venezuelani e alcuni popoli asiatici soffrono sotto il tallone di dittature comuniste sanguinarie, ma sembra che nessuno se ne sia accorto. O che non voglia saperlo. Eppure abbiamo avuto anche fenomeni come le Brigate rosse fino ai primi anni Duemila. Sarà questo l’ultimo oltraggio di una lunga serie in questo 25 aprile, vedremo chi vincerà questa gara verso il basso. Una lunga striscia, anzi uno striscione di oltraggi.  

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Maran ha voglia di imitare Toninelli

Sui cavalcavia l’assessore Maran ha voglia di imitare Toninelli. La cronaca milanese si tinge di grigio cavalcavia in questi giorni con la proposta dell’assessore all’Urbanistica Pierfrancesco Maran di riutilizzare i cavalcavia milanesi. Questa la sintesi resa pubblica via social da uno dei “giovani” della giunta Sala: Qualche settimana fa durante la Giunta che si è tenuta al Corvetto abbiamo detto che stiamo lavorando per l’abbattimento del vicino cavalcavia e oggi partiamo con un progetto sperimentale. Abbiamo infatti pubblicato un bando che riguarda 3 cavalcavia. Cerchiamo infatti un unico operatore che faccia queste cose: – Cavalcavia Bussa. Utilizzare per 12 mesi le aree a parcheggio per attività sportive e ricreative favorendo l’uso ciclopedonale del ponte. – Cavalcavia Corvetto e MonteCeneri. Attività nel mese di agosto con allestimenti verdi che prevedano la chiusura automobilistica. Obiettivo è iniziare a sperimentare, in periodi di scarso traffico, l’effetto che può avere la futura eliminazione del Corvetto e una rifunzionalizzazione del MonteCeneri. L’idea quindi è di rendere verdi i cavalcavia, iniziativa molto simile a quella proposta dal ministro delle Infrastrutture per il ponte Morandi. L’idea di rendere un ponte autostradale a misura di famiglie in bicicletta ha suscitato il riso di tutta la nazione, ma Maran sembra averla presa sul serio. In una città con i problemi di mobilità come Milano, le idee dell’attuale giunta sono di eliminare alcune delle poche vie ampie meneghine. Sui cavalcavia l’assessore Maran vuole imitare Toninelli, ma non si sa ancora come reagiranno i milanesi.

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La pioggia ricorda i problemi idrici di Milano

Tornano le piogge primaverili, tornano i problemi idrici di Milano. Sono passati decenni, ma le esondazioni che allagano il quartiere Niguarda e quelli circonvicini non cessano. Annunci, progetti, milioni spesi in analisi tecniche e politiche, ma ancora la situazione non si sblocca. C’è chi dà la colpa alla mancanza delle vasche di laminazione, chi ai comuni che non vogliono un vascone fangoso che si riempe a ritmi stagionali, chi alla mancata manutenzione del canale sotterraneo dove scorre il Seveso, chi all’eccesso di urbanizzazione. Difficile individuare un solo responsabile, sicuramente le eterne battaglie al Tar stanno arrivando alla fine, ma nemmeno quelle potrebbero essere decisive. Come diceva una vecchia canzone: lo scopriremo solo vivendo. Oggi ci resta l’ennesima carrellata di immagini e video di tombini trasformati in fontane dalla pioggia. E l’ironia dei milanesi che potete vedere qui  giusto per un esempio. Presto, si spera prestissimo, le ruspe dovrebbero poter realizzare almeno la prima vasca di laminazione: tra Bresso e Senago infatti la vittoria legale dovrebbe essere a un passo per Milano. Poi essendoci lo smistamento terra tra Milano e la Brianza bisogna considerare il tempo di eliminare le ‘ndriine che gestiscono ancora in larga parte quel settore nel nord di Milano. Quindi il percorso sembra ancora lungo, intanto i milanesi si riscoprono sempre più ironici e rassegnati. Stanno diventando romani.    

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Una Pasqua senza stile, magari

Una Pasqua senza stile, magari. Milano a quanto pare si deve rassegnare a non vederla mai. Nella città nota per il fashion, anche se ormai quel settore è tutto a Parigi, sarebbe bello santificare le feste. Sarebbe bello vedere il primo cittadino con un vestito serio, uno sguardo serio, celebrare uno dei tanti simboli religiosi della città. Non solo per la religione in sé, ma per la religione fuori di sé: i simboli non sono per forza professioni di obbedienza a un santone, ma l’adesione a valori comuni. Sono sun-bolè dal greco antico “con volontà”, cioè con un’idea dentro che unisce e fortifica l’anima, prima che il conto in banca. La Pasqua dovrebbe essere un momento in cui si celebrano i valori che ci tengono uniti, invece il buon Sala ha deciso di schierarsi. Male. A dargli una grossa mano il periodico Style di Urbano Cairo che gli ha dedicato una prima pagina con due bambini lievemente “colored”. Ora diciamolo: si poteva fare meglio. Il sindaco sicuramente è contento che Majorino gli lasci lo spazio di “amico dei migranti”, anche perché come “uomo che fa cose” Sala ha fallito: nessun grande progetto dopo Expo è stato portato a casa. E l’onda lunga di tutto ciò su cui siamo (come comunità) passati sopra sta arrivando (sì come l’Inverno, ci sta mettendo tante stagioni ma arriva). Non gli resta che rubare il posto a Majorino per dare un significato alla sua Amministrazione, o almeno provarci: se Majo aveva il coraggio di andare fino in fondo abbracciando anche nelle prime pagine neri, gay, e tutto ciò che la destra odia, Sala prende la ragazzina con tinta nordafricana in compagnia di un ragazzino in secondo piano e non biondo. Una visione rilassante per la borghesia dell’accoglienza “sì ma se sono puliti e non troppo neri”. La stessa per dire che bruciò le speranze del povero Nichi Vendola quando venne a Milano. Voleva abbracciare rom, neri, gay, insomma tutti quelli che elessero Pisapia, ma fece prendere a Giulia Maria Crespi il classico sciopun. E la (ahimè) ancora potentissima donna richiamò all’ordine “l’avvocato Pisapia” che subito piegò ginocchio e giunta agli ordini dei suoi veri capi. La prima pagina di Style segue la stessa identica logica: il sindaco, giustamente identificato con uno seduto al posto giusto, con i due ragazzini né troppo bianchi né troppo neri. E un titolo quasi forte, “Milano città aperta”, con un bel richiamo a un vecchio film utile a far sentire gli anziani più giovani e contestualizzati in un periodo storico di cui non capiscono un piffero (viene da fare una carezza a chi l’ha scritto). Ovviamente si scelgono i ragazzini perché un uomo con lo Style di Sala vuoi che si faccia una foto con un bel gambiano di un metro ottanta per 90 di muscoli e magari una cicatrice? Stonerebbe. E magari sporca il vestito da 3mila euro, oltre a spaventare i vecchietti come Giulia Maria che per migrante intendono il cameriere, il bambino a cui mandare 50 euro al mese o la donna violentata da accogliere a spese dello Stato. Peccato che sui gommoni in transito (eh già Salvini, arrivano ancora nonostante il tuo storytelling) queste categorie siano in minoranza. Ma Style deve avere stile, quello dei vecchi ovviamente. Sala invece no, ha preferito così: una Pasqua con Style. Peccato. Noi dell’Osservatore speriamo ancora nell’altra: una Pasqua senza stile.

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Case popolari, il fallimento del sindaco Sala

Dati impietosi quelli pubblicati dal Sicet. Il sindacato inquilini della Cisl denuncia una situazione critica, anzi di “drammaticità per moltissime famiglie”. Aumentano solo gli sfratti: nel 2018 sono state 5.308 dopo le 4.722 del 2017. Ma intanto restano oltre 9mila appartamenti sfitti che in teoria potrebbero essere assegnate. Ermanno Ronda, segretario generale del Sicet Milano, parla di “25mila domande presentate” che però “purtroppo non ottengono risposta” dalle istituzioni. Amministrazione comunale e regionale in questo caso. l Comune, lo scorso anno, ha assegnato solo 859 alloggi, quasi esclusivamente nei confronti dei nuclei di uno, due, o tre persone. Numeri impietosi rispetto all’epoca Moratti, quando le assegnazioni erano di qualche migliaio all’anno. Ma Sala ha deciso che la linea del Comune, Metropolitana milanese in particolare, non era quella di partire dalle assegnazioni di alloggi. L’attenzione per ora è su altro: Sala cerca qualche grande progetto per restare nella memoria di cittadini e finanziatori. A quanto pare un suo nuovo pallino è la metropolitana Rossa: il primo cittadino insiste spesso sull’idea di una metropolitana che colleghi Monza e Milano. Per assurdo, sarebbe pure una delle opere meno onerose per le casse pubbliche tra le tante messe in piedi da Sala. La stessa Metro 4, che di fatto ha bloccato la gran parte della capacità di spesa del Comune, sembra un buco nero: doveva essere pronta per Expo, sarà un miracolo se finiranno le prime tre fermate entro il 2022. Intanto però circa mezzo miliardo all’anno, quasi tutti i soldi davvero spendibili da Palazzo Marino (il resto serve per stipendi, mutui, e tanto altro) è vincolato per il progetto. Così restano pochi fondi. E il governo ora non ne ha. Quindi Sala cerca di parlare d’altro perché sulle case popolari lui e la sinistra stanno fallendo. Giorno dopo giorno è sempre più lampante e prima o poi anche la stampa allineata dovrà prenderne atto: le case popolari sono un fallimento del sindaco Sala. L’ennesimo.  

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