Alla BIT di Milano dal 4 febbraio arrivano eventi e talk allo stand della Campania con Unioncamere
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A Palazzo Pirelli il convegno su Strehler. Nella suggestiva cornice di Palazzo Pirelli, un convegno di illustri personalità e appassionati del teatro si è riunito per onorare la memoria di uno dei giganti della scena teatrale italiana ed europea: Giorgio Strehler. Questa straordinaria figura, spesso chiamata “il ragazzo di Trieste,” è stata celebrata per la sua straordinaria carriera e la sua capacità di trasformare il teatro in un’arte contemporanea e accessibile a tutti. Federico Romani, il Presidente del Consiglio regionale della Lombardia, ha aperto il convegno con parole toccanti, sottolineando come Strehler sia stato in grado di unire il suo eccezionale talento con l’influenza delle culture variegate delle terre di confine, che hanno contribuito a plasmare la sua visione artistica. Milano, la città che ha accolto Strehler a braccia aperte, è stata teatro delle sue più grandi opere, e ha dimostrato di essere un luogo in cui i talenti possono sbocciare e prosperare. L’evento, intitolato “Giorgio Strehler. Non chiamatemi maestro,” è stato organizzato dal Comitato di Milano dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia (ANVGD), in collaborazione con l’iniziativa “Milano è memoria” del Comune di Milano e il patrocinio del Consiglio regionale della Lombardia. Questo convegno ha rappresentato un’opportunità per esplorare il percorso umano e artistico di Giorgio Strehler, un uomo nato a Barcola, Trieste, il 14 agosto 1921. Strehler proveniva da una famiglia in cui le lingue e le culture si intrecciavano in modo unico: il nonno parlava il slavo, la nonna il francese, e il padre era di origini viennesi. A soli sette anni, dopo la perdita prematura del padre, si trasferì a Milano con sua madre, una rinomata violinista di organini dalmate e francesi. Qui si diplomò all’Accademia dei filodrammatici nel 1940. La sua opposizione al regime fascista nel 1944 lo costrinse a fuggire in Svizzera, dove fondò la “Compagnie des Masques” sotto lo pseudonimo Georges Firmy. Dopo la fine della guerra, Strehler tornò a Milano e, nell’aprile del 1947, fondò il “Piccolo” insieme a Paolo Grassi e Nina Vinchi. Questo teatro, concepito come un servizio pubblico, sarebbe diventato una delle istituzioni teatrali più importanti in Europa. Nel 1968, in un periodo di fervente contestazione, Strehler lasciò il “Piccolo” per dare vita a un nuovo gruppo teatrale, “Teatro e Azione,” basato su principi cooperativistici. Tornò poi alla direzione del “Piccolo” nel 1972 e lo guidò fino alla sua morte. Un sogno realizzato da Strehler fu la creazione del “Théâtre de l’Europe” a Parigi nel 1983, un teatro sovranazionale dove culture diverse potevano dialogare e confluire. Nel 1987, aprì la Scuola di Teatro “Luca Ronconi.” Ma Strehler non fu solo un maestro dell’arte teatrale; si impegnò anche in politica, diventando parlamentare europeo nelle file del PSI nel 1983 e poi senatore della Sinistra Indipendente a Palazzo Madama nel 1987. La sua morte, avvenuta nella notte di Natale del 1997 a Lugano, ha lasciato un vuoto incolmabile nel mondo del teatro. Tuttavia, il convegno “Giorgio Strehler. Non chiamatemi maestro” ha permesso di rievocare la vita intensa di questo autentico genio che ha rivoluzionato il teatro e gettato le basi per la nascita della regia teatrale moderna. Numerosi partecipanti al convegno hanno condiviso le loro esperienze personali e professionali con Strehler. Andrea Jonasson, l’attrice che Strehler ha diretto in indimenticabili allestimenti teatrali, ha evidenziato il suo impatto duraturo sul mondo dello spettacolo. Attori e registi formati alla sua scuola hanno testimoniato come Strehler abbia influenzato in modo indelebile le loro carriere. In conclusione, questo convegno ha reso omaggio a Giorgio Strehler, un uomo che ha segnato la storia del teatro italiano ed europeo. Il suo spirito innovativo e la sua dedizione alla creazione artistica vivono ancora oggi attraverso le opere che ha lasciato dietro di sé e attraverso l’influenza che ha esercitato su generazioni successive di artisti teatrali. Giorgio Strehler è e resterà sempre un’icona del teatro, un maestro eterno.
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La metropolitana 4 e il fallimento di Pietro Salini. Milano, la metropoli italiana che ha sempre rappresentato un modello di efficienza e innovazione, è recentemente diventata il palcoscenico di un’opera di promesse non mantenute e aspirazioni fallite. Il caso della Metro 4 di Milano, incompleta nonostante le promesse di essere pronta per l’Expo 2015, è emblematico. L’annuncio che il Comune di Milano acquisirà per 225 milioni di euro le quote della metropolitana dagli azionisti privati, non è solo una mossa amministrativa, ma sottolinea un epilogo di fallimento per il settore delle infrastrutture pubbliche in Italia. Pietro Salini, l’imprenditore che ha guidato questo progetto, incarna l’immagine del magnate che non è riuscito a portare a termine un’opera tanto essenziale per la città. Questa situazione solleva interrogativi profondi sulle dinamiche tra il settore pubblico e quello privato in Italia, specialmente in ambito di grandi opere. Il ritardo nella realizzazione della Metro 4 non è solo un inconveniente logistico, ma rappresenta una falla nella promessa di un progresso che avrebbe dovuto elevare la qualità della vita urbana e rafforzare l’immagine di Milano come una città all’avanguardia. È ironico osservare come Salini si sia presentato come un eroe borghese nella celebrazione dell’arrivo della Metro 4 in piazza San Babila e dell’apertura della nuova piazza. Questo atto di autocelebrazione contrasta nettamente con la realtà dei fatti: una metropolitana incompleta e una serie di scadenze mancate che hanno lasciato i milanesi in attesa. Questa discrepanza tra l’immagine proiettata e la realtà effettiva è un riflesso di una più ampia problematica nel panorama delle infrastrutture italiane, dove grandi proclami e gesti simbolici spesso nascondono inefficienze e ritardi. In questo contesto, l’acquisto delle quote della Metro 4 da parte del Comune di Milano non è solo un tentativo di salvare il progetto, ma rappresenta anche un’ammissione tacita delle difficoltà incontrate nel settore delle pubbliche infrastrutture quando queste vengono affidate a privati. È un momento di riflessione per la città di Milano e per l’Italia in generale, su come i grandi progetti infrastrutturali dovrebbero essere gestiti e su come gli interessi pubblici dovrebbero essere tutelati in queste collaborazioni tra pubblico e privato. In conclusione, la storia della Metro 4 di Milano è un monito sulla necessità di una maggiore trasparenza, responsabilità eefficacia nella gestione dei progetti infrastrutturali. Essa solleva questioni cruciali su come le alleanze tra settore pubblico e privato debbano essere strutturate e monitorate per assicurare che i progetti non solo soddisfino le scadenze, ma riflettano anche le esigenze e le aspettative dei cittadini. La vicenda di Pietro Salini, che ha assunto un ruolo quasi eroico nella narrazione della Metro 4, svela una tendenza preoccupante nel modo in cui le figure imprenditoriali possono essere percepite in Italia. L’eroismo borghese, in questo caso, sembra slegato dai risultati tangibili e dalle responsabilità reali. È fondamentale che le figure chiave nei progetti infrastrutturali siano valutate non solo in base alla loro immagine pubblica, ma anche in base al loro impatto concreto sulla società e sulla qualità della vita urbana. Il caso della Metro 4 di Milano è un chiaro esempio di come i grandi progetti possano trasformarsi in simboli di inefficienza e fallimento, nonostante le buone intenzioni iniziali. È un richiamo alla necessità di un’approfondita revisione dei modelli di gestione e di un rinnovato impegno verso la responsabilità e l’efficacia nel settore delle infrastrutture. In ultima analisi, la responsabilità di garantire che progetti come la Metro 4 siano completati in modo tempestivo e efficiente ricade su tutti gli attori coinvolti, dal settore pubblico a quello privato. È essenziale che le istituzioni pubbliche svolgano un ruolo attivo nel supervisionare e guidare tali progetti, assicurando che gli interessi dei cittadini siano sempre al primo posto. Allo stesso tempo, è fondamentale che il settore privato aderisca a standard elevati di trasparenza e responsabilità, riconoscendo che la realizzazione di infrastrutture pubbliche non è solo un’opportunità di profitto, ma anche un impegno sociale e civico. In conclusione, la vicenda della Metro 4 non è solo la storia di un progetto incompleto, ma simboleggia una più ampia questione di governance e di responsabilità nel settore delle infrastrutture italiane. È una lezione per le future collaborazioni tra pubblico e privato, sottolineando la necessità di un approccio più olistico, responsabile e orientato al benessere collettivo. Solo così potremo garantire che le città italiane, come Milano, non solo mantengano la loro efficienza e il loro dinamismo, ma diventino anche esempi di sviluppo sostenibile e inclusivo per il futuro.
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Nasce a Milano il primo circolo del movimento Indipendenza fondato da Alemanno. È stato inaugurato domenica 31 dicembre il primo circolo milanese del Movimento “Indipendenza”, fondato da Gianni Alemanno durante la riunione tenuta a Roma il 25 e 26 novembre 2023. A fare gli onori di casa è stato il coordinatore provinciale di “Indipendenza” Alfredo Durantini. Il movimento, come stabilito nel documento assembleare, si propone principalmente di promuovere “la dottrina sociale Cattolica, la cultura identitaria e l’appartenenza comunitaria al popolo italiano, l’Umanesimo del lavoro, l’Autodeterminazione e i diritti dei popoli e i principi fondamentali della Costituzione Italiana” spiega Durantini. “Si tratta, insomma, – continua il neo-coordinatore di Indipendenza – di una forza politica culturalmente posta a difesa della famiglia tradizionale ed estremamente conservatrice sui temi etici, ma che al contempo ambisce a recuperare quell’attenzione alle classi sociali svantaggiate promettendo battaglia al capitalismo finanziario e allo strapotere delle multinazionali, avendo dunque l’ambizione di esercitare attrattiva verso il popolo deluso dagli attuali partiti”. “A Milano finalmente torna una voce per perorare il superamento delle vecchie logiche politiche Destra/Sinistra, per rappresentare e dare voce al comune sentire dei cittadini lottando contro lo scollamento della politica verso i reali bisogni delle famiglie e dei lavoratori. Vogliamo – Conclude Alfredo Durantini – dare voce alla politica del NOI per dare spazio alla partecipazione ed alla creazione del consenso dal basso”. mailto:milano@movimentoindipendenza.it https://www.facebook.com/IndipendenzaMilano/
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Terre D’Oltrepò. Piano strategico quinquennale per il rilancio della cooperativa vinicola e del territorio dell’Oltrepò Pavese. Con un valore totale del mercato del vino in Italia nel 2022 di circa 14,2 miliardi di euro, di cui il 60% proveniente dall’export, emerge la necessità di affrontare le sfide per mantenere e migliorare la competitività. La missione di Terre D’Oltrepò è quella di creare un polo vinicolo industriale integrato e sostenibile, in grado di catalizzare e valorizzare le risorse inespresse del territorio. Il rilancio del Gruppo si concentra principalmente sull’incremento della capacità produttiva e industriale, con un focus particolare sulla qualità del processo produttivo, che dovrà essere trasparente e certificato ad ogni passo. Il modello di riferimento è quello dello Champagne, dove un singolo centro di pressatura ha dimostrato di catalizzare e incrementare la capacità produttiva dell’area. L’obiettivo è aumentare la capacità produttiva acquisendo nuovi soci oltre i 5.000 ettari di contribuzione attuale, che includono sia l’Oltrepò Pavese, sia i Colli Piacentini. Chiediamo al nostro collega Paolo Brambilla, Consigliere dell’Ordine dei Giornalisti della Lombardia, che ha visitato recentemente le cantine di Terre d’Oltrepò, come si sta rinnovando il posizionamento del brand della grande cooperativa vinicola. “Il mercato del vino italiano è un affascinante mondo in cui tradizione e innovazione si fondono per creare un’esperienza unica” ci dice subito. E aggiunge che le etichette italiane raccontano storie di territorio, cultura e passione. Le cantine, spesso gestite da famiglie per generazioni, sono autentiche custodi di tradizioni millenarie. Ma nonostante la forte radicazione nella storia, il mercato del vino italiano è tutto tranne che statico: nuove generazioni di enologi stanno portando innovazione e creatività nel settore. Le bottiglie italiane non sono solo sinonimo di eccellenza, ma anche di avventura e sorpresa. E Paolo Brambilla continua: “Terre d’Oltrepò sta rinnovando l’approccio con il mercato grazie all’arrivo del nuovo CEO, Umberto Callegari, protagonista di una carriera internazionale di grande prestigio: il suo ruolo di World Wide Commercial Lead di Customer Transformation presso Microsoft lo ha visto guidare un team di 400 advisor strategici, svolgendo un ruolo cruciale nella trasformazione digitale di Microsoft: sotto la sua guida, la pipeline aziendale ha raggiunto i 20 miliardi di dollari con un ROI di circa 1:80 evidenziando la sua abilità nella creazione di nuovi ricavi e modelli di business in contesti globali e complessi. Ora Umberto Callegari si trova al timone di un’impresa vinicola con un enorme potenziale. Il suo approccio manageriale e strategico si riflette nella visione a cinque anni, dove prevede un completo cambiamento del modello operativo, investimenti nell’industrializzazione del gruppo e una focalizzazione su uno sviluppo sostenibile, margini accresciuti, internazionalizzazione del business e la creazione di una rete di partner strategici”. Attualmente, il costo del capitale investito nelle operazioni vinicole è superiore al suo ritorno, principalmente a causa della polverizzazione delle aziende. L’approccio proposto da Terre D’Oltrepò è quello di gestire il vino come un’estensione dell’industria manifatturiera ed alimentare, con investimenti mirati in tecnologia e cultura, portando l’industria del vino a privilegiare il ruolo dei produttori. “È stata una scelta di cuore” ci confida il dott. Callegari. ”Essendo nato e cresciuto in Oltrepò, era logico arrivare alla più grande cantina cooperativa della Lombardia: mi ero sempre chiesto come fosse possibile che, mentre il vino italiano ha avuto uno sviluppo così incredibile nel mondo, l’Oltrepò non lo avesse ancora avuto”. Gli impatti tangibili dell’operato di Terre D’Oltrepò sono già visibili. “Però resta il fatto che oggi non siamo in grado di fare sistema” commenta Umberto Callegari “ e questo si riflette anche nel mondo del vino. Il vino italiano vale in tutto circa 14 miliardi di dollari: il primo produttore italiano, che è CIV, fa 700 milioni, il primo produttore mondiale, Castel Group che è francese, genera circa 16 miliardi di fatturato annui da solo”. Parlando dei cambiamenti internazionali, ha sottolineato poi il drammatico impatto delle condizioni postBrexit nel mercato UK, con accise in aumento e vendemmie sempre più calde a causa del surriscaldamento globale. “O noi creiamo un polo industriale capace di catalizzare la nostra capacità produttiva e di creare un cambiamento culturale di modello operativo passando da logiche di puro prodotto a logiche di servizio end to end, da aggiungersi all’investimento in eccellenza operativa e branding, oppure il futuro non sarà roseo, non solo per l’Oltrepò ma, credo, per il sistema del vino italiano”. Terre D’Oltrepò ha delineato il proprio impegno verso la creazione di una piattaforma vinicola in grado di fornire “operations as a service” per soci e partner, specialmente per il metodo classico da uve Pinot Nero, senza dimenticare la necessità di un approccio congiunto tra aziende, sindacati, associazioni e politica per realizzare la visione di Terre D’Oltrepò, capofila della prima filiera enologica integrata e circolare della Lombardia.
Sala ancora in difficoltà sullo Stadio. La complessa vicenda dello stadio di San Siro, che vede coinvolti il sindaco di Milano Giuseppe Sala, il Milan, l’Inter, e le istituzioni governative, continua a dominare le cronache cittadine. L’attuale situazione si concentra su un delicato equilibrio tra la tutela del patrimonio storico e le esigenze di modernizzazione delle infrastrutture sportive richieste dalle due prestigiose squadre di calcio. Il sindaco Sala ha chiesto al governo di decidere rapidamente sulla possibilità di imporre un vincolo di tutela storico sullo stadio Meazza di San Siro, una mossa che potrebbe influenzare significativamente il progetto di un nuovo impianto desiderato da Milan e Inter. La questione del vincolo rappresenta una spada di Damocle sul progetto, con Sala che enfatizza la sua volontà di far rispettare le regole e di confermare l’interesse pubblico nella situazione. Recentemente, in Consiglio comunale, è stato approvato un ordine del giorno sul nuovo stadio, imponendo diverse condizioni al masterplan, tra cui un numero massimo di posti, distanze specifiche da via Tesio, aree verdi significative, e investimenti nel quartiere. L’approvazione ha visto un’insolita conformazione di voti favorevoli e contrari all’interno della maggioranza di Sala, suggerendo un clima di incertezza e dibattito tra i membri del Consiglio. Sala ha inoltre commentato la possibilità che l’Inter costruisca un nuovo stadio a Rozzano, esterno alla città di Milano, definendo tale opzione “ingestibile” e sottolineando che sarebbe un “errore macroscopico” per le società. Ha espresso dubbi sulla fattibilità della sicurezza in un impianto fuori città, e ha invitato le squadre a ripensare la loro decisione, sottolineando che anche il Consiglio comunale sta cercando di promuovere una mozione per mantenere le squadre a Milano. In conclusione, il sindaco Sala si trova in una posizione di delicato bilanciamento tra le esigenze storiche e culturali della città e le pressioni commerciali e sportive. La sua gestione di questa situazione riflette una comprensione profonda delle dinamiche urbane e un impegno a salvaguardare gli interessi pubblici, pur cercando di accommodare le richieste delle due importanti squadre di calcio della città.
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