C’è bisogno di una svolta nel modo di muoversi nel nostro Paese. Tra le cose che ci lascerà in eredità la pandemia, ci sarà una maggiore consapevolezza degli effetti che provochiamo ogni volta che ci muoviamo. Ma se la scelta del mezzo sarà più consapevole, l’Italia dovrà farsi trovare pronta con un sistema integrato dei trasporti. La mobilità di persone e merci (pensiamo al periodo del lockdown) è diventata un tratto caratterizzante della nostra vita, ma può e deve diventare al più presto maggiormente sostenibile, razionale e integrata. Quella del nostro Paese invece è squilibrata a favore dell’auto e dei Tir. Siamo il fanalino di coda europeo per il trasporto pubblico, con una quota di trasporto ferroviario merci del 12%. All’autotrasporto tocca l’85% e le briciole rimanenti vanno agli oleodotti e alla navigazione fluviale. Ad aggravare questo dato, oltre agli effetti ambientali ci sono quelli economici, dato che siamo anche il Paese con i costi del trasporto pesante su gomma, per chilometro percorso, tra i più elevati in Europa. Per quanto riguarda invece il trasporto passeggeri, a dominare è l’auto con una quota dell’81,4% ,contro il 18,6% di autobus, tram, treni e metropolitane. Nonostante ciò, ancora una volta ci viene proposta, come principale soluzione per razionalizzare il sistema e ridurre l’inquinamento, una nuova serie di opere (grandi e piccole) il cui elenco è ricalcato pari pari su quello della legge Obiettivo del 1991, a cui sono state aggiunte le opere contenute nel decreto “sblocca cantieri” e nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza. Per accelerare la realizzazione delle 59 opere pubbliche ritenute strategiche (deinite tutte così senza essere mai accompagnate da una valutazione costi-benefici) sono stati nominati 30 commissari. Si parte quindi già con il metodo sbagliato, facendo diventare una scelta straordinaria – quella di un’eventuale commissario per gestire la realizzazione di un’opera complessa – un’opzione ordinaria. Perché si deve rinunciare a larga parte delle procedure previste per gli appalti pubblici, sospendendo il naturale sistema di programmazione e realizzazione delle opere? E poi: perché trasformare in commissari i dirigenti di Anas, RFI e del ministero dei Trasporti, che sono già pagati per fare questo lavoro? È ora di smetterla con la logica dell’aggirare le regole: le gare, la trasparenza, la correttezza delle procedure vanno rispettate, e per questo i committenti pubblici – cioè le stazioni appaltanti – devono fortemente rinnovarsi. Per far ciò occorre recuperare una cultura di Project Construction Management diffusa in Europa, Giappone e Stati Uniti, che consentirebbe di evitare gli incrementi di costi e tempi tipici delle opere italiane. Le migliori energie universitarie dell’economia, dell’urbanistica e dell’ambiente vanno impegnate per ricalibrare le condizioni operative del committente pubblico. Le opere previste nel Piano di Ripresa e Resilienza non devono essere percepite come un piano ‘svuota-cassetti’, ma come strumenti non più rinviabili per dotarci di un sistema infrastrutturale moderno, digitalizzato, sostenibile, utile per recuperare quote di traffico ai mezzi di trasporto meno inquinanti. Occorre un cambio di passo che faccia prefigurare fin da subito quanto serviranno le opere previste, e come e da chi verranno gestite. È utile ad esempio ricordare che su una quarantina di aeroporti, quasi trenta sviluppano un traffico risibile, per cui è lecito chiedersi a cosa serviranno gli ammodernamenti previsti. Per non parlare dei porti: anche qui ce n’è uno per ogni campanile, al punto tale che tutti i 26 scali italiani messi assieme movimentano meno merci del solo porto di Rotterdam. La vera riforma sarebbe quella di razionalizzare le reti portuali e aeroportuali, più che spendere in ampliamenti inutili. Per capirlo basta un aneddoto. Tra le opere previste nel PNRR c’è una diga da costruire davanti al porto di Genova, per consentire alle grandi navi portacontainer (quelle con capacità di 24.000 TEU altezza di 60 m) di raggiungere anche i terminali di ponente con nuove strutture, manufatti e gru. Il traffico di queste navi e il ricorso a un sistema energetico basato su pale eoliche andrebbero però ad impattare significativamente sulle caratteristiche fisiche, operative e di sicurezza del vicino aeroporto. Cosa fare , quindi? Chiudere l’aeroporto di Genova o rinunciare allo sviluppo del porto? Passando al trasporto pubblico locale dei passeggeri, il PNRR giustamente tratta l’argomento in un capitolo intitolato “Infrastrutture per una mobilità sostenibile”. Contrariamente a quanto si pensa, nel settore del TPL il problema non è il gap di finanziamenti, quanto invece la pessima qualità dei servizi offerti delle aziende di trasporto, e gli alti costi operativi. Sono dunque innanzitutto i meccanismi di gestione delle aziende che vanno cambiati, visto che quelle italiane hanno una produttività inferiore anche del 30% rispetto a quelle europee. A differenza di quanto si usa fare in Europa, infatti, i servizi vengono affidati senza gara, e Regioni e Comuni spesso usano le aziende (prevalentemente pubbliche) per politiche consociative e di consenso. Il management viene scelto in base all’appartenenza, e non vige il metodo di darsi degli obiettivi: ad esempio, l’uso di tecnologie pulite, lo sviluppo delle rinnovabili, l’integrazione dei servizi e delle tariffe, l’accessibilità e la crescita delle quote di passeggeri trasportati. Mancano poi dei soggetti regolatori pubblici (Stato, Regioni e Comuni), che dovrebbero pianificare i servizi. Se questi enti rimarranno incapaci di imporre criteri di efficienza nella gestione dei servizi, i piani di decarbonizzazione dei trasporti e di miglioramento dell’aria nelle città rimarranno lettera morta. Sul fronte ferroviario, infine, ci sarà da lavorare, più che per lo sviluppo di nuove linee ad alta velocità, per ammodernare quelle esistenti. Si pensi che in 13 linee piemontesi la velocità massima è di 55 km/h, e addirittura sulla Trofarello-Chieri di 25 km/h. In Lombardia 8 linee raggiungono i 70 km/h, e 7 i 55 km/h. Con queste reti, a cui si aggiungono obsoleti sistemi di controllo del traffico e treni con un’età media di 16 anni, sarà difficile conseguire risultati in linea con gli obiettivi europei.