Nome dell'autore: Luca Rampazzo

Laureato in legge col massimo dei voti, ha iniziato anni fa la carriera di startupper, con la casa editrice digitale Leo Libri. Attualmente è Presidente di Leotech srls, che ha contribuito a fondare. Si occupa di internazionalizzazione di imprese, marketing e comunicazione.

Lo strano caso della Giornata del Ricordo nel Municipio 3

Il Municipio 3 celebrerà la Giornata del Ricordo. E già questa è una notizia. La parte di cronaca ce la fornisce però il consigliere Gussoni, capogruppo di Fratelli d’Italia e già candidato alla Presidenza del Municipio, tramite una interrogazione. In sostanza, l’incontro sarà tenuto dall’ANPI e costerà 400 euro. Qui si aprono due questioni principali. La prima: l’ANPI da sempre sostiene tesi negazioniste sulle Foibe, come ad esempio riportato da https://www.ilgiunco.net/ nel comunicato della sede di Grosseto: “Non fu una “pulizia etnica” verso gli italiani, ma una resa dei conti generale, soprattutto politica, che si svolse in tutta l’Europa verso camicie nere, SS, militari e civili legati all’apparato di occupazione, collaborazionisti, ostaggi, sloveni, croati, tedeschi, avversari politici e tanti innocenti” E quando non negazioniste, sicuramente volte ad uno strisciante giustificazionismo, come nel comunicato ufficiale dell’ANPI nazionale: “Se si fosse privilegiata la ricerca storica su questa questione – prosegue Anpi – non sarebbero stati dimenticati, con il semplice metodo dell’omissione: l’invasione fascista di quei territori in seguito all’entrata in guerra al fianco della Germania nazista; l’espulsione delle popolazioni non italiane e comunque l’’italianizzazione forzata’ (reato parlare lo sloveno e il croato); l’infoibamento dei resistenti e dei civili jugoslavi; i tre anni di persecuzioni nazifasciste in quei territori”. Ora, intendiamoci, se si fosse privilegiata la ricerca storica sul 25 aprile probabilmente gli Italiani della Liberazione avrebbero una visione un filo diversa. Ma come dice giustamente lo storico Barbero (sicuramente non un camerata), storia e memoria sono cose molto diverse. E il Giorno del RICORDO dovrebbe farci capire di quale delle due cose si stia parlando. Ma al Municipio 3 non pare interessare, quindi, invece delle Associazione degli Esuli, si chiamano a parlare i partigiani. Partigiani che la ricerca storica ci dice che qualche colpa nel fenomeno non si può escludere l’abbiano avuta. Ora, non si tratta di accusare il Municipio di aver invitato a parlare nel Giorno della Memoria i reduci della X MAS, ma di sicuro un problema si pone, come correttamente fa notare Gussoni. Ma le stranezze non si fermano qua. Infatti nella richiesta di finanziamento ci sono alcune curiosità. La prima: è ben in evidenza l’IBAN cui pagare. E fin qui, tutto bene, la gente è previdente, ma siamo sicuri sia quello dell’ANPI? La seconda: chi firma la richiesta si autoproclama responsabile ANPI, ma non dà alcuna prova di questa sua qualifica. E se non lo fosse? Il Municipio ha controllato di star pagando la persona giusta? Ma non finisce qui. Anche ammesso che l’IBAN sia quello dell’ANPI e che la persona abbia il potere di rappresentanza, si pongono altri due problemi: primo, non si sa chi sia il relatore. E secondo, per questo relatore si chiede un rimborso spese per il viaggio. Quale viaggio? Da dove viene? Chi è il mister x? E che importanza ha tutto questo, vi chiederete voi. Beh se sabato 12 febbraio, alla conferenza, si presentasse un anziano partigiano Croato a dire, nell’ordine, che: 1. nelle foibe ci sono finiti solo fascisti 2. che furono al massimo qualche centinaio e 3. che gli Jugoslavi avevano tutto il diritto di infoibarli, noi cittadini di Milano avremmo contribuito a pagare per lo spettacolo. E, se la cosa può essere disgustosa, sarebbe comunque legittimo. Quello che rende la vicenda degna dell’attenzione della magistratura contabile, come sempre nota nella sua interrogazione il capogruppo FDI Gussoni, è il velo di oscuramento sull’intera vicenda. Non pare a chi scrive che sia costume delle istituzioni milanesi fare bonifici in bianco senza dettagli dei costi a tutti. C’è sempre qualcuno, soprattutto a sinistra, però, che è più uguale degli altri.

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Dal Consiglio di Stato una lezione di civiltà alla maggioranza di Milano

Fuori i compagni dai nostri cortili. In sintesi questa la sentenza n. 624 del 28 gennaio 2022 del Consiglio di Stato, che boccia una determina della Commissione Paesaggio. Che cosa voleva fare il Comune di Milano? Impedire ad un privato di fare il palazzo, nella facciata come voleva lui. In sostanza, il Comune sosteneva di poter decidere non solo della facciata che dà sulla pubblica via, ma pure quella che dà nel cortile privato. Per utilizzare le parole di commento che appaiono su www.lapostadelsindaco.it: Ha chiarito la Sezione che […], ai fini dell’applicazione della normativa in materia di tutela del paesaggio, non è possibile accedere a una concezione “olistica”, elaborata da scienze diverse da quella giuridica, in virtù della quale la nozione di ambiente risulti inglobata in quella di paesaggio; al contrario, va mantenuta l’autonomia di tale ultima nozione ed il suo nucleo essenziale di carattere estetico, in senso gnoseologico, al quale è inevitabilmente attribuibile un carattere soggettivo (e non oggettivo), dal quale discende l’importanza da attribuire alla fruibilità da parte della popolazione. Ne discende la non predicabilità di lesioni del paesaggio in caso di interventi ai quali difetti il connotato essenziale della percepibilità da parte della collettività indifferenziata dei cittadini. In pratica: fuori i compagni dai nostri cortili, come detto in apertura. Perché, ce lo dobbiamo dire, la tendenza a installarsi in casa nostra è una tentazione costante per loro. Vi ricordate il regolamento sul verde? Quello in cui il consigliere Monguzzi voleva decidere sul tipo di potatura da applicare al solitario pino mugo che avete in cortile? Ecco, il tentativo stavolta coinvolgeva il colore delle facciate interne, il tipo di grondaie e le tegole eventuali. Insomma, l’assemblea di condominio, oltre a quella fastidiosissima coppia del terzo piano e all’inevitabile assenteista del sesto, si sarebbe arricchita di una nuova figura: il commissario del popolo. Il Consiglio di Stato ha, con cortesia e ampia erudizione, spiegato ai compagni di Palazzo Marino che questa non è la Pietroburgo degli anni 30 ed il Comune non ha alcuna competenza in materia estetica dei cortili. Che i Milanesi, pure prima dei commissari del popolo, tenevano in maniera ammirabile pure da soli. E così potranno continuare a fare, al riparo dai soviet ambientalisti del compagno Sala. Costretto, per una volta, a stare fuori dalla nostra vita.

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Il circolo vizioso delle case popolari

Domenica sera è andato in onda, su Rete Quattro, un servizio sulle case popolari in cui si vedeva chiaramente una cosa che è stata più volte denunciata: MM non riesce ad assegnare gli alloggi a chi ne ha diritto. E lascia dentro quelli che diritto non ne hanno. C’è molto da dire, come ci ha segnalato Franco Vassallo, già consigliere di Municipio 7 con delega alla casa. “Come si apprende dal servizio del TG4 secondo una anonima impiegata di MM la colpa delle mancate ristrutturazioni sarebbero gli inquilini morosi. Questo capro espiatorio riemerge ogni volta che la partecipata del Comune non riesce a fare quello che dovrebbe. Cioè quasi sempre. Quello che non si dice mai è che l’intero sistema non è sostenibile. Facciamo due conti: con una lista d’attesa di decine di migliaia di persone, i primi hanno ISEE zero. Per forza. Queste persone non sono abusive, sono letteralmente autorizzate a non pagare. Quindi quando il Direttore Generale Cetti dice di aver ristrutturato (e speriamo anche assegnato) più di 4 mila case ammette di aver fatto entrare qualche migliaio di persone che non devono pagare. Allora delle due l’una: o ha ragione l’impiegata e il problema è che non paga. E allora il Comune deve bloccare gli ingressi. Oppure non è vero che il problema è chi non paga. Forse, magari eh, il problema è chi amministra. Volete due esempi? In via San Romanello al 34 c’è un signore che da tre anni attende che MM sistemi il soffitto che ha delle infiltrazioni. Non ha bisogno che qualcuno gli costruisca e dedichi una basilica, che gli venga regalato un grattacielo o chissà che altro. Sono infiltrazioni. È umidità. Bene. Per non ottenere nulla, l’inquilino ha fatto non meno di diciassette segnalazioni. DICIASSETTE. È colpa degli inquilini morosi se non gli hanno sistemato il soffitto? È colpa degli abusivi? E a lui, di preciso, cosa dovrebbe fregare del numero di case vuote ristrutturate? Nulla, ovviamente. Ma al Comune di Milano piace immensamente quando MM ristruttura e poi assegna. Quello che odia è prendersi cura del proprio patrimonio finché non inizia letteralmente a cadere a pezzi. Non gli importa nulla delle case che potrebbero essere messe a posto con poco sforzo e pochi lavori. Devono essere vuote e cadere a pezzi. Ovviamente il giochino ha un costo. Ed è questo costo che manda fuori asse i conti. Ma Sala e Cetti non lo ammetteranno mai. Quindi sotto con le ristrutturazioni ed assegnazioni. Per poi lasciar andare tutto in malora e lamentarsi dei costi di ristrutturazione”.

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MM, il Comune e quel demansionamento che fa giurisprudenza

MM, il Comune e quel demansionamento che fa giurisprudenza. Alla ripresa dei lavori del Comune, con la prospettiva di un diverso assetto della gestione delle acque, è importante ricordare che il Comune ha a che fare con degli esseri umani. Sia dal lato del servizio offerto, che da quello dei propri lavoratori. Ci si attenderebbe che dopo dieci anni di amministrazione di sinistra, le partite aperte dai lavoratori che lamentano danni gravi arrecati dal management delle partecipate siano chiusi rapidamente nel rispetto del diritto del lavoro. Macché. Questa storia, che è finita con una pronuncia della Corte di Cassazione (31558 del 4 novembre 2021) in favore del lavoratore, ormai in pensione, di MM Franco Vassallo, si è trascinata per quasi diciassette anni. E con dieci anni di processo che hanno attraversato due consiliature di sinistra. Non c’è che dire, un grande risultato per la sinistra del lavoro. Di cosa si parla? Di demansionamento. Di un lavoratore umiliato nella propria professionalità. Ma facciamo parlare la Suprema Corte “Occorre premettere, in fatto, che l’esistenza del demansionamento è stata accertata dai giudici di merito in relazione una ricostruzione puntuale dei compiti affidati ai dipendente – il quale inizialmente aveva svolto mansioni di Capo Reparto Pronto Intervento e di Capo Reparto Unità Mobile Controllo Rete, laddove, a far tempo dall’ottobre 2005, era stato assegnato all’area acque reflue – con la descrizione dettagliata delle mansioni svolte nei diversi periodi; era stato al riguardo precisato che all’espletamento di un ruolo di elevato contenuto professionale connesso alla responsabilità di una serie di unità (di ricerca perdite, di manutenzione) e al coordinamento di un elevato numero di dipendenti, aveva fatto seguito l’assegnazione di mansioni di tecnico di zona con limitazione delle competenze alle problematiche attinenti alla fognatura relative alla zona a lui riservata, con evidente mortificazione della dignità professionale del lavoratore. […] L’assegnazione a mansioni inferiori rappresenta poi, fatto potenzialmente idoneo a produrre una pluralità di conseguenze dannose, sia di natura patrimoniale che di natura non patrimoniale. Innanzi tutto l’inadempimento datoriale può comportare un danno da perdita della professionalità di contenuto patrimoniale che può consistere sia nell’impoverimento della capacità professionale del lavoratore e nella mancata acquisizione di un maggior saper fare, sia nel pregiudizio subito per la perdita di chance, ossia di ulteriori possibilità di guadagno o di ulteriori potenzialità occupazionali (vedi Cass. 10/6/2004 n. 11045 ). Invero la violazione dell’art. 2103 c.c., può pregiudicare quel complesso di capacità e di attitudini definibile con il termine professionalità, che è di certo bene economicamente valutabile, posto che esso rappresenta uno dei principali parametri per la determinazione del valore di un dipendente sul mercato del lavoro. Inoltre la modifica in peius delle mansioni è potenzialmente idonea a determinare un pregiudizio a beni di natura immateriale, anche ulteriori rispetto alla salute, atteso che, nella disciplina del rapporto di lavoro, numerose disposizioni assicurano una tutela rafforzata del lavoratore, con il riconoscimento di diritti oggetto di tutela costituzionale, con la configurabilità di un danno non patrimoniale risarcibile ogni qual volta vengano violati, superando il confine dei sacrifici tollerabili, diritti della persona del lavoratore oggetto di peculiare tutela al più alto livello delle fonti. Queste parole, molto pacate, descrivono diciassette anni di dolore, umiliazione e perdita di futuro. Di cui, va ripetuto, dieci di processo. Senza che MM riconoscesse il proprio errore. E senza che, sugli anni successivi al 2013, decidesse di sedersi a un tavolo, costringendo Franco Vassallo ad un altro ricorso. Tu chiamali, se vuoi, compagni.

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Figlio di un esponente di FdI aggredito e rapinato in Brera

La Milano dove l’insicurezza è solo percezione non finisce di regalare episodi di violenza gratuita sui giovani. Quello che segue è il racconto di M.G., aggredito senza apparente motivo a capodanno. “Ci trovavamo in Brera per festeggiare capodanno, eravamo in quattro ragazzi, per le 2:45/3 decidiamo di tornare a casa, così ci spostiamo verso largo Treves, vicino alla panchina/edicola. Stavamo facendo un po’ di baldoria tra di noi per divertirci, e ci sediamo per un attimo sulla panchina. Si avvicina a quel punto un gruppo di 4/5 ragazzi che cercava solamente un pretesto per attaccare rissa. Hanno usato il vecchio trucco di chiederci una sigaretta . Da lì ‘parte l’aggressione: un mio amico schiva un gancio e immediatamente iniziamo ad allontanarci. Ma non basta. Io vengo accerchiato e mi viene chiesto insistentemente il portafoglio. Non ce l’ho. Allora tentano di prendermi a forza la giacca, spintonandomi. Non riuscendo a sfilarmela mi tirano un pugno in faccia. Gliel’ho dovuta consegnare. Ma non bastava ancora. Hanno preteso le scarpe. Le hanno prese e sono scappate. E così da solo, al freddo e scalzo sono arrivato alla stazione di polizia vicino alla stazione di polizia vicino alla Fabbrica del Vapore. Dopo aver sporto denuncia gli agenti mi hanno riaccompagnato a casa. Erano quasi le cinque. I miei amici intanto erano tornati sul luogo dell’aggressione e hanno recuperato cellulare e chiavi di casa. Ringrazio davvero le forze dell’ordine che si sono tanto spese per me.” Commenta l’episodio la madre, Deborah dell’Acqua, esponente di Fratelli d’Italia: “Da tempo denuncio le aggressioni e le violenze che dilagano durante le serate milanesi. Questa volta è successo a mio figlio. In zona Brera è stato aggredito e derubato di giacca e scarpe, tornando a casa con il labbro tumefatto che vedete in foto. Ringrazio gli agenti per il lavoro impeccabile riportando a casa Matteo e accertandosi che stesse bene, ma pretendo che il sindaco Beppe Sala si prenda le sue responsabilità. Non è possibile vedere i propri figli uscire la sera non sapendo in che condizioni torneranno. Una vergogna per una città come Milano, dove ormai i criminali fanno il bello e il cattivo tempo. Servono più Forze dell’Ordine nelle strade, più controlli, più sicurezza!” Inizia un 2022 che, sul fronte sicurezza, pare un 2021 ancora più cattivo. E ancora non si sa cosa intenda fare il Sindaco per risolvere il problema.

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Il miglio della vergogna di via Saint Bon

MM ha deciso di fare una simpatica festicciola nelle case di via Saint Bon 6, davanti all’ospedale militare. E tra un brindisi e un panettone distribuire regali. Solo che per arrivarci, come ogni giorno, i condomini, soprattutto quelli meno giovani se non hanno rischiato la vita, hanno sicuramente rischiato rotule e braccia. Ce ne parla Franco Vassallo, dell’associazione La 7: “Domenica mattina, come ogni mattina eravamo in giro a portare panettoni ai meno abbienti, un segno di vicinanza. In pieno spirito di sussidiarietà, queste piccole cose le possono fare i privati ed è giusto che siano i privati a farle. MM, ovviamente, non la pensa così e spera di poter nascondere sotto uno spesso strato di zucchero a velo lo stato di abbandono e di scarsa manutenzione delle case popolari. Via Saint Bon in questo è davvero un esempio negativo. Prima il problema degli ascensori, affrontato seriamente solo in campagna elettorale. E anche là, usandoli come montacarichi per i lavori successivi. Così da essere sicuri che non funzionino a lungo, come riportano gli inquilini preoccupati. D’altronde è una circostanza verosimile: senza controlli gli operai tagliano gli angoli ovunque. Ma la cosa non si ferma lì. Il vialetto di accesso alle case è un nastro contorto, su cui si sono rotte braccia e gambe peggio che a un torneo di skateboard. Anche perché gli abitanti, come chiunque peraltro, non ritenevano certo necessario indossare ginocchiere e gomitiere per uscire a fare la spesa. E questa ragionevole convinzione, unita alla solita ossessione per le periferie del Sindaco si è rivelato in più occasioni fatale. Il viale, infatti, è sollevato in più punti dalle radici e questo, alla fioca luce dei pochi lampioni crea delle zone in cui mettere un piede in fallo, soprattutto sotto il peso della spesa facilissimo. Ma, ovviamente, sistemarlo costa e richiede attenzione. Meglio organizzare festicciole natalizie a spese di tutti, in cui si cerca di nascondere l’inefficienza sotto qualche regalo e due fette di panettone. Chiamatela, se volete, efficienza di sinistra. Oppure, in modo più appropriato, furbizia da quattro soldi.”

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