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Emergenza Educativa: Scuola, Famiglia, Comunità. Percorsi e Proposte

Il convegno si è tenuto con successo lunedì 8 aprile presso l’Aula Magna dell’Istituto Comprensivo Statale Milano Spiga. L’evento ha visto una notevole partecipazione di giovani, i quali hanno animato la sessione con domande pertinenti, evidenziando l’importanza del loro ruolo attivo nel dibattito educativo e sollevando parecchie riflessioni e spunti da parte dei relatori. Promosso dal Comitato MI’impegno, in collaborazione con Women Care Association e “Rinascita educativa”, il simposio ha accolto esperti del settore educativo e sociale, tra cui Angelo Lucio Rossi e don Claudio Burgio, che hanno condiviso le loro esperienze positive di comunità educanti, tra le proposte di maggior rilievo: Sinergia Scuola-Giovani-Adulti attraverso la presentazione di strategie operative per una collaborazione efficace tra scuola, giovani e adulti. Ecosistema Educativo, con l’obiettivo di creare un ambiente in cui scuole, famiglie e istituzioni lavorino insieme per lo sviluppo di comunità inclusive. Patto Educativo, realizzando un accordo solidale e intergenerazionale, con intenti concreti e azioni misurabili per rafforzare il tessuto sociale e culturale educativo. Don Claudio Burgio figura di spicco nel campo dell’educazione e dell’integrazione sociale, ha raccontato, emozionando il pubblico in aula, la sua esperienza con i giovani delle comunità Kayrós, una vita al sostegno dei giovani meno fortunati e alla promozione di percorsi educativi inclusivi perché come dal titolo del suo libro “Non esistono ragazzi cattivi”. Mentre Rossi ha contribuito al dibattito con proposte innovative e riflessioni sulla funzione educativa della scuola; invitando a considerare la scuola non solo come un fabbricato, ma soprattutto come una comunità viva e promuovendo il concetto di “Scuole Aperte” come spazi di dialogo, in contrapposizione a una visione chiusa e staccata dell’istituzione scolastica. Famosa la citazione dell’architetto Renzo Piano che menziona la scuola come parte integrante del “rammendo del tessuto urbano” a conferma dell’importanza d’integrazione. Nelle conclusioni Carmelo Ferraro, Presidente del Comitato Mi’impegno, ha sottolineato l’urgenza di risposte rapide e solidali nell’educazione, un obiettivo che coinvolge scuole, famiglie e comunità. Ha inoltre ribadito l’impegno e le responsabilità dell’istituzione a creare una società più equa e informata attraverso percorsi innovativi,interventi efficaci, formazione e risorse. Ognuno di noi, quindi, può fare la differenza, sia con azioni piccole sia grandi, per costruire un futuro migliore e più equo per tutti i giovani. Ognuno fa necessariamente parte della comunità educante per la quale la responsabilità non demandabile a nessuno, e tanto meno alla scuola, che non può essere lasciata da sola.

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Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata

Via Civitavecchia: una comunità orgogliosa e abbandonata Le casette, singole, strette e alte. I tre gradini prima della porta d’ingresso. Il giallo vivace della facciata. C’è un angolo di Inghilterra a Milano, nell’ultimo lembo della città prima di via Rizzoli. Prima della Rizzoli, se parliamo di tempi. Perché queste case hanno visto espandersi la città. Erano qui, testimoni silenziose, quando il Corriere della Sera è arrivato, con le rotative pesanti e rumorose. E hanno visto la metropolitana sbucare dal terreno e correre sotto il sole. C’erano, quando, trent’anni dopo, sono arrivate altre case popolari. Insomma, sono piccoli e silenziosi testimoni di una città che è cambiata. Hanno visto il terrorismo, la droga, il parco Lambro passare molte crisi. Erano qui, silenziose, quando è arrivata la prima ondata migratoria. E sono state minacciate più volte di demolizione, sempre scampandola per un pelo. Oggi vivono uno strano limbo: sospese sul baratro della burocrazia di MM, mentre, tutto attorno, il quartiere cambia. Questo piccolo viaggio, senza pretese di inchiesta, è un omaggio e una denuncia. Un omaggio alle case e ai loro tenaci abitanti. E la denuncia delle condizioni in cui gli abitanti sono costretti a vivere. Il parco negato Nel cuore di queste casette a schiera c’è un parco per i bambini. In teoria. In pratica c’è un cane senza guinzaglio che sta facendo pipì sul cartello che vieta di portarci i cani, in quel parchetto. La legalità e questi luoghi si rispettano, ma cercano di evitarsi quando possibile. Un molosso abbia frenetico da un cortile. Attende impaziente il suo turno nel parco, che dovrebbe essergli proibito. Naturalmente è escluso che durante l’orario di scuola ci siano bambini. Ma non è l’unico momento in cui queste aree sono loro negate. Durante l’estate le bande che se lo contendono rendono la loro presenza un ricordo. A terra cocci di vetro. E siamo fortunati, dopo le lunghe e calde notti, di solito si trova di tutto. Dal biologico alle siringhe, passando per le bottiglie, le schegge di vetro e altre sostanze su cui è meglio soprassedere. Alle spalle del parco, con i suoi giochi vuoti, la facciata sfregiata di un istituto professionale. Dentro, un insegnante urla. Fuori, le urla diventano tag sui muri grigi. I ricoveri per i senza tetto Su entrambi i lati delle case a schiera, ci sono hotel di vita. Il primo, dal lato dell’Enotria, è ancora frequentato. Varia umanità sofferente entra ed esce dalla scatola di cemento, eterno oggetto di promesse mancate. Doveva essere un supermercato, poi un ufficio postale. Forse sarà interessata dal mega progetto di riqualificazione dell’area Rizzoli, quello che vedrà sorgere un mega coworking in bambù per Panda hipster. Forse resterà così, un parallelepipedo in cemento sperduto nel verde. Testimone che di buone intenzioni è lastricato il degrado di Milano. Sul lato opposto il ricovero per senza tetto era addirittura nel perimetro dell’istituto professionale. Era perché è qualche anno che non si vedono più ospiti. Forse è stata chiusa. Letteralmente, nel senso di murata. Una ben strana scuola, ma qui la stranezza è l’unica cosa normale. I ricoveri per inquilini In mezzo ai due hotel di vita, la vita degli abitanti di queste case popolari. Una vita che in sette decenni ha visto momenti molto peggiori, ma anche decisamente migliori. Questo è il giardino segreto di Milano, dove si sta combattendo una difficile battaglia per la riqualificazione da una parte e si decide anche di lasciare casi troppo difficili per esseri lasciati in contesti più grandi. Come nel caso dell’accumulatrice seriale. Le case internamente sono piccole, ma confortevoli. Sono anche dotate di un piccolo giardino. Giardino che, se non curato (e le case abbandonate ci sono e non sono poche), diventa ricovero di piante talvolta anche velenose. Sicuramente allergeniche. Che conquistano ogni centimetro lasciato libero. Qui siamo alla frontiera, l’uomo è solo un turista. Il verde riconquista ogni metro incustodito. Ricordandoci che, alla fine, sul pianeta non lasceremo impronte durature. Oltre la frontiera Oltre l’ultima fila di case c’è il Parco Lambro, un posto incantevole. Fino al venerdì pomeriggio, nella bella stagione. Poi, la fonte di un incubo: ubriachi, violenti, armati e senza paura alcuna. Escono soli, in gruppi, in branchi dall’oscurità. E non vanno incrociati. Farlo non porta sfortuna, ma un ricovero garantito dai venti giorni in su. Le storie che si raccontano sono di violenza, cieca e senza senso. File di macchine vandalizzate per lanciare un messaggio a chiunque chieda, anche gentilmente, di riavere la quiete notturna perduta. E polizia assente durante questi fine settimana alcolici che privano una comunità della pace e della sicurezza. I furgoni con i gazebo e l’equipaggiamento da barbecue passano di qua. Nessuno vede, nessuno è sicuro. L’estate qui è un caldo incubo che solo le piogge autunnali mitigano. Don Mazzi aveva fatto molto per rendere migliore la zona, ma nemmeno il suo futuro è sicuro. Quello è sicuro è il ritorno delle carovane dei nomadi. Alcuni migliori, altri peggiori. Tutti comunque parte del grande mistero: riusciremo a difendere il poco che abbiamo. Questo è lo spirito dei pionieri della periferia. Un grande romanzo di resistenza, in cui la città di te se ne frega con precisione chirurgica. E la rivedi solo quando deve difendere regole arcaiche o incassare bollette arretrate. Oppure, va detto, portare un fiore dopo anni di maltrattamenti: la casa dell’acqua. La casa dell’acqua è un bel gesto, molto apprezzato. Con la pavimentazione nuova tutto attorno. Oh, sì, molto apprezzato. Come la pace prima della tempesta. Una mano di colore Ecco, in campagna elettorale la maggioranza che governa la città qui poteva fare e promettere molto. Telecamere nel parchetto, per dissuadere i malfattori a due zampe. Più controlli, per non lasciare soli gli inquilini malati e i loro vicini che da anni la notte non dormono. La ripulitura dei giardini sopraffatti dalla vegetazione, salubre o insalubre. Ma di tutte queste cose non si sarebbe accorto nessuno. E quindi, idea geniale, si faranno dei murales sulle testate di fila. Utilità? Ovviamente nessuna. Ma la sola casetta dell’acqua

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Delpini: periferia, contesto che diventa comunità

“Preferisco non usare il termine periferia, è un concetto negativo. Credo che Milano stia facendo un cammino che trasforma il concetto tra periferia e centro nel concetto di quartiere, cioè un contesto abitativo che diventa comunità”. È la riflessione dell’arcivescovo di Milano, monsignor Mario Delpini, nel corso dell’inaugurazione del nuovo centro diurno per senzatetto di Caritas Ambrosiana, intitolato ad Antonio Bassanini e Alessandra Tremontani. “Le persone più fragili che rischiano di vivere senza dignità riconosciuta si salvano perché si riconoscono in una comunità. – ha aggiunto – È giusto trasfigurare la città come un insieme di comunità che ha nel quartiere una propria vivacità”. Una riflessione quella sulle periferie condivisa dal sindaco di Milano, Giuseppe Sala. “Lo ripeto spesso, basta parlare di periferie, ci sono i singoli quartieri, e se sotto l’accezione di periferie racchiudiamo tutto quello che non è centro facciamo un errore”. ANSA

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Rapine in stile Gomorra: quattro minorenni in comunità

Quattro quindicenni sono stati posti in comunità dalla Polizia di Stato perché ritenuti responsabili di sei rapine, una tentata estorsione, furto, minacce e due aggressioni ai danni di alcuni loro coetanei. I minori erano presenti sui social con account in cui rivendicano l’appartenenza al quartiere San Siro e si proponevano con profili violenti dove mostravano comportamenti da veri boss, sullo stile di ‘Gomorra’ e da ‘bimbi soldato’. Le sei rapine sono state messe a segno tra settembre 2020 e febbraio nei pressi di CityLife e piazzale Giulio Cesare. Il gruppo composto da una quindicina di ragazzi, aveva sempre lo stesso modus operandi: individuata la vittima, il capobanda la raggiungeva con un pretesto. Sopraggiungevano quindi gli altri per rapinarla. Vittime e rapinatori si conoscevano di vista, o tramite contatti social o per comuni frequentazioni scolastiche. Erequenti la minacce per fare in modo che le vittime non parlassero. I minorenni facevano parte del gruppo che aveva partecipato al video del rapper Neima Ezza. ANSA

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