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Invochiamo la liberazione dal traffico

Invochiamo la liberazione dal traffico. Perché se c’è un problema che sta esplodendo da quando Ford ha lanciato la prima auto di massa è il traffico. L’aspetto spassoso è che se ne parla da circa un secolo. Eppure ancora non è successo un tubo: al massimo hanno costruito strade di asfalto pure dove non servivano. E spesso distruggendo le comunità locali che le ormai mitiche “infrastrutture” dovevano rivitalizzare. Da qualche parte si è iniziato a invocare e applicare il numero chiuso per limitare l’invasione di turisti. Perché alla fine la soluzione è sempre tenere fuori i poveri: con il numero chiuso che sta andando forte in diverse parti d’Italia i prezzi schizzeranno ancora di più e dunque solo i ricchi potranno andare ad Amalfi, sulle Dolomiti e via così. Certo, potrebbe essere il momento in cui milioni di persone scoprirebbero luoghi veramente belli e non solo quelli resi famosi da operazioni di marketing territoriale ben riuscite. Ma di fatto certi luoghi saranno eliminati dalla mappa di alcuni. E tutto perché nonostante la capacità di inviare sonde su Marte, non siamo stati in grado di ripensare i flussi di traffico. Perché il reddito di cittadinanza agli Elkann e alle loro auto che non compra più nessuno va bene, ma pensare a cosa stava succedendo era troppo difficile. E ora anche i tedeschi con i loro macchinoni da foresta nera hanno scoperto che sulle ex mulattiere scavate nella roccia si va a due sensi e dunque o hai un panda-model o crei un ingorgo impossibile da gestire. Magari smetteranno di ammassarsi sul Garda e con tutta probabilità diminuiranno i morti da incidenti in barca. Ma intanto invochiamo la liberazione dal traffico perché non sono solo i laghi ad essere assediati, ma tutti i luoghi di cazzeggio (ops villeggiatura). Se ne è accorto pure Briatore. Magari recuperando i modelli Covid in cui alle città si poteva accedere con scaglionamenti perché scuole e aziende avevano cambiato i propri orari di apertura e chiusura, già si potrebbe combinare qualcosa di buono, senza stravolgere eccessivamente le deboli anime ministeriali. Per i luoghi turistici, la soluzione è semplice: basterebbe smettere di puntare al turismo come fonte principale di sostentamento. O almeno farlo nella versione di quei liguri geniali che avevano un giro di olandesi che pagavano per andare a raccogliere le olive al posto dei liguri. Il sogno di Zio Paperone, però almeno quelle erano aziende agricole. Non solo l’ennesimo agriturismo di…villeggiatura.

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La guerra per l’acqua nella civilissima lombardia

La guerra per l’acqua nella civilissima Lombardia. In questi giorni la così detta Lombardia civile si è trovata a discutere come un qualsiasi Stato africano intorno al lago Chad. I comuni del lago di Garda hanno infatti fatto sapere che della secca del Po non gli interessa poi molto. Perché il loro lago sta abbastanza bene e dare un po di acqua al Po non risolverebbe i problemi del grande fiume, al massimo creerebbe un altro bacino in crisi. Non è una semplificazione giornalistica, vi riportiamo le parole di Pierlucio Cerasa, uomo che parla per i Comuni del Garda: “Lo vede dove arriva l’acqua? Siamo a 82 cm sopra lo zero idrometrico. Vuol dire che il lago, oggi, ha un riempimento circa del 63%. È una discreta scorta ma è anche uno dei livelli più bassi degli ultimi anni: di solito, in questo periodo, c’erano 35-40 cm in più. Ecco: per provare a guarire il Po malato di siccità ci hanno chiesto di poter prelevare dal lago 20/30 metri cubi al secondo. Al Po ne servirebbero 500. Capite che sarebbe un’operazione inutile, che avrebbe un solo risultato: oltre al Po malato, avremmo anche il malato Garda. Perché quei 20/30 metri cubi al secondo, che non risolverebbero i problemi del Po, per il Garda sono vitali”. Ci rendiamo conto? Se voi siete in crisi, è inutile darvi una mano perché poi ci mettiamo nei guai anche noi. A parte che a se ci fosse una coscienza nazionale a questo punto al Garda andrebbe staccato l’accesso a ogni servizio nazionale. Perché molte zone d’Italia sono in crisi economico, mentre solo per fermarsi in quelle zone ai bravi cittadini della comunità lacustre bisogna lasciargli un rene. Allora visto che la loro logica è quella che se gli altri stanno male, possono morire, tanto varrebbe fargli provare la stessa filosofia della vita e togliergli l’utilizzo di elettricità e strade. Andassero in asino a parlare delle loro idee da somari della democrazia e dell’unità nazionale. Ma al di là di questo il vero punto è vedere come siamo ridotti in quella che sarebbe una delle zone più acquose e benestanti del pianeta. Siamo senz’acqua. Un fiume tra i più grandi del mondo è in secca. E potrebbe restarci. Perché avere milioni di tonnellate di cibo a basso prezzo vuol dire anche avere milioni di ettolitri di acqua da buttare nei canali. E a quanto pare non li abbiamo più. E il risultato è la guerra per l’acqua nella civilissima Lombardia che ovviamente si riscopre molto poco civile. Perché il Garda pensa al Garda: un perfetto esempio di una nazione che nei fatti non esiste più, perché i vicini si sospettano e si odiano a vicenda. E nelle difficoltà la prima reazione è quella di provincialotti che vedono il mondo solo entro i confini dell’orizzonte. In una nazione serie l’esercito starebbe marciando sul Garda per aprire le chiuse, invece resta tutto com’è e l’unico passo di marcia è verso un baratro sociale e civile che a questo punto sembra più che adeguato all’italiano medio.

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