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A gamba tesa nel calcio ed in politica

A gamba tesa nel calcio ed in politica. Nelle competizioni sportive più note ci sono sempre grandi club che si alternano alla vetta. Per esempio nel calcio al top ne troviamo cinque, Juve, Inter, Milan, Roma, Napoli. Uno spaccato di lettura del paese che si focalizza su precise città e aree, Milano, Torino, la Capitale e Napoli. Anche il primato sportivo è figlio delle vicende economiche, sociali e demografiche. In politica la stabilità, al limite dell’immobilismo era la regola; merito e colpa dell’elettorato che non si faceva sviare dall’irrompere tempestoso di sempre nuove idee e sorprendenti eventi. Molto variegato il campo dei sostenitori del sistema cui contrapposto stava quello dell’antisistema. Per paradosso più il sistema funzionava bene, più avanzava l’antisistema, anche quando passava a sistemi terroristici. Questo per 50 anni. A metà anni 2000, la Juve perse il primato d’ufficio e venne retrocessa non sul campo. Vinse Milano allora, proprio mentre calava inesorabilmente l’influenza della Mole a favore dei meneghini. In breve tempo l’ex primatista tornò tale. Dieci anni prima, per squisiti fattori esogeni, era stato ugualmente squalificato ed eliminato il campo politico sistemico. Quello antisistemico di prima l’avrebbe dovuto sostituire. Invece il blocco sistemico, scomposto e ricomposto, si ripresentò e riprese il primato finché di nuovo interventi esogeni non lo spaccarono e quasi riuscirono a farlo retrocedere. Nel 2014 il Pd arrivò al 40 % dei voti mentre nel ’94 Forza Italia aveva superato il 30%. Se la Juve non fosse stata retrocessa solo una volta, ma più di una volta o a ripetizione cosa sarebbe successo? E se dopo di lei lo stesso trattamento fosse stato imposto anche alle milanesi, la lotta al vertice calcistico sarebbe stata rivoluzionata del tutto. Al top sarebbero arrivate le squadre centromeridionali e via via new entries settentrionali avrebbero conteso loro la vittoria, mettiamo Atalanta, Sassuolo e Lazio, governate da imprenditori provinciali, assunti anche a grandi incarichi istituzionali. Ed in politica è successo proprio questo. Il Pd nel primo decennio del nuovo millennio stava attorno al 30% poi nel secondo dopo l’exploit iniziale è calato sotto il 20%, ora vagando attorno al 15%. Il ruolo di Bergamo e Lazio l’hanno preso Lega e Fratelli d’Italia, La Lega dalla nascita aveva vagato attorno al 5% di media per poi scalare posizioni fino al 17% del 2018, al 34% del 2019 ed al 20% odierno. Fratelli d’Italia, che ereditava una quota di poco inferiore al 15%, aveva superato il 5% solo nel 2019 ma ora i sondaggi lo valutano quasi al 20%. Un team che arriva al vertice arrivando dalla serie B, un altro addirittura dalla C. L’altra formazione, al momento apparentemente di sinistra, oggi al vertice, è i 5 stelle, sempre più in dissoluzione, pura voce dal sen fuggita (se non da altra parte meno nobile). Quasi il 60% dell’elettorato predilige due partiti fortemente di destra, diversificati solo dall’estrazione etnica tipica di Milano e Roma; ed una formazione di pura indignazione destinata all’evaporazione alle prossime politiche. L’altro più 15% che 20%, ex antisistemico, resta stretto attorno al partito che si identifica con il regime, con il potere, con le istituzioni soprattutto internazionali. Non è tanto diverso nel calcio delle decine di migliaia di club dilettanti ancora nostalgiche del presidente Tavecchio dalle gaffes razziste, cacciato con un quasi colpo di stato; ed in quello top in lotta con Figc e Fifa. Tutto il mondo è paese e tutte le tendenze, in ogni settore, finiscono per coinvolgere. Solo questo giustifica che le destre, abbastanza estreme, possano essere arrivate a coinvolgere un elettorato potenziale da 11 milioni di persone. Lo stesso elettorato che fu del pentapartito, di Forza Italia ed in larga parte del Pd renziano; la maggioranza silenziosa, la massa di chi è stufo dei processi, delle eccessive regole, dell’ambientalismo, dei ladruncoli di massa, dell’emigrazione, degli omosessuali e compagnia cantando, dei diritti, dei cantieri chiusi, dell’immobilismo, dell’impoverimento, dei lamenti femminili e delle umiliazioni internazionali. E che alla prossima pancia gravida maschile posticcia, è pronta a reagire con l’eliminazione di aborto e divorzio. Malgrado tutti si dicano liberali, questa massa ha perso molta liberalità, perché ha pagato molto caro tutta quella offerta in passato con premurosa sollecitudine a brigatisti, magistrati, alleati internazionali, indignati, nigrizi. E si sente limitata perché nessun partito offre sostegno ai fumatori, propone l’eliminazione delle cinture di sicurezza e smantella le piste ciclabili. Idee che sembrano impossibili ma che lo sarebbero molto meno in caso di vittoria elettorale delle destre. Più queste sono cresciute e più il povero presidente Mattarella si è dovuto arrovellare, almeno dal 2017, contro il rischio elettorale. Queste destre, infatti, hanno corpaccioni da giganti ma teste da adolescenti, malgrado una lunga e lunghissima storia. Come formazioni border line, hanno sviluppato mentalità, metodi e approcci minoritari non bisognosi di confrontarsi con i grandi poteri finanziari, commerciali, industriali e militari internazionali che oggi hanno svuotato di reale importanza la nostra politica, pur nel paradosso che l’economia è tornata quasi tutta pubblica e che il liberalismo occidentale oggi è un mix di iperimperialismo di classe ed esaltazione dell’unter proletariat. L’alterità di destra, che né Lega e Fratelli, possono cedere pena la perdita di voti a favore dell’altro, non è un rigurgito di Salò ma il possibile rifiuto di innovazione eterodiretta, trattati e sistemi regolatori, in una parola del sistema internazionale dove ormai abbiamo un ruolo da punching ball e che ha facili mezzi per strangolare un paese come il Nostro, come già dimostrato. Ammettiamo che all’ennesimo sequestro di pescherecci o all’arrivo di barconi si reagisse giustamente con mezzi militari, magari con l’occupazione di una striscia di Tripolitania, mettendo in mezzo navi delle Ong olandesi e tedesche. Dovremmo reggere le reazioni di vari mondi extraeuropei e la pressione degli alleati di Nato ed Unione, con numerose quarte colonne interne attive e sanguinarie. Sarebbe in grado di reggere la maggioranza silenziosa? Gli uomini delle istituzioni non partirebbero subito per Brindisi? Anche fra i club di calcio più importanti, due paroline europee irate sono bastate per farli ritirare dal contratto della Superlega, già firmato. Non siamo

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Quell’incrocio pericoloso tra pm e politica fa male a Milano

Quell’incrocio pericoloso tra pm e politica fa male a Milano. Ricordate sotto Pisapia come venne abbattuta la fama della Procura di Milano? Un cambio d’epoca dovuto allo scontro tra Alfredo Robledo e Edmondo Bruti Liberati. Casus belli fu il fascicolo SEA, dimenticato in un cassetto da Bruti Liberati per mesi. Tanti da veder evaporare qualunque rischio di coinvolgimento del Comune in uno scandalo da 300 milioni di euro. Robledo è tornato in Lombardia in questo periodo tra l’altro come consulente dell’assessore al Welfare della Regione Letizia Moratti, ma all’epoca era il magistrato ribelle. Nello scontro come sempre persero tutti: Bruti Liberati andò in pensione senza troppe lodi, Robledo fu trasferito e poi lasciò la toga, ma soprattutto la Procura di Milano perse l’aurea di santità che si era guadagnate con l’inchiesta Mani Pulite dei primi anni Novanta. Un bel danno, ma attutito dagli effetti benefici di Expo che aveva arricchito ancora di più la borghesia cittadina e pure gli altri. Anche allora si parlò di rapporti privilegiati tra gli ambienti politici di sinistra e alcuni magistrati. E come allora anche oggi quell’incrocio pericoloso tra pm e politica fa male a Milano. Perché se vanno Milano e la Lombardia, va male tutto il Paese come ha ricordato il commissario nazionale per l’emergenza Covid Figliuolo. Se ogni ombra sul servizio delle Iene e il caso Barbato non sarà fugata quanto prima sarà tutta la città a soffrirne. Sala tra l’altro ha l’indubbio vantaggio di non avere un competitor che può trasformare la vicenda in una vittoria politica, dunque ha tutto il tempo per chiarire ogni aspetto della vicenda anche perché pare che le Iene non vogliano mollare l’osso. L’occasione per fornire una versione dei fatti convincente può scrollargli di dosso l’immagine di sindaco in mano alla magistratura.

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Quando la politica incontra i professionisti: domande e risposte o attese disattese?

Il 29 gennaio sul canale 45 della web tv Canale Europa, si è svolto un interessante confronto organizzato da Milano PerCorsi, la nota comunità di formatori attiva da oltre un decennio, tra alcuni professionisti strettamente coinvolti per la loro attività professionale con il mondo del lavoro, e tre uomini politici. Ne è scaturito un embrione di quello che dovrebbe essere un rapporto molto più stretto tra i professionisti e le parti sociali, cerniera indispensabile per comprendere le dinamiche del mondo del lavoro, e la politica, perché quest’ultima al di là degli schieramenti politici e delle conseguenti posizioni ‘ideologiche’ ha oggi il compito, il dovere in realtà, di dare risposte concrete e di fare squadra per superare questo drammatico momento di impasse per il Paese. Aperto da Marcello Guadalupi, fondatore di Milano PerCorsi, oggi un’impresa sociale che comprende oltre 700 professionisti e si dedica alla formazione in costante rapporto con università, imprese, professionisti ed anche con il mondo del sociale, l’incontro era finalizzato alla legge di bilancio 2021. Sollecitati dagli addetti ai lavori tra cui Alvise Biffi (vicepresidente piccola industria di Confindustria), Valentina Cappelletti (segretaria CGIL Lombardia), Natale Carapellese (presidente Federconsumatori Lombardia), Carmelo Ferraro (direttore Ordine avvocati di Milano), Pietro Latella (consulente del lavoro), Vito Meloni (commercialista in Cagliari) e Andrea Pardo (commercialista in Milano), i tre politici invitati, Tommaso Nannicini, Gianluigi Paragone e Massimo Garavaglia hanno, ciascuno a modo loro, interpretato le istanze dei professionisti e delle parti sociali. Tommaso Nannicini, senatore del Partito Democratico e professore ordinario di Economia Politica presso l’Università Bocconi, ha posto come ineludibile il tema della riforma fiscale, sinora mai realizzata veramente per tre ragioni fondamentali: in primo luogo per la mancanza di capitale politico, perché la politica, dovendo fatalmente scontentare qualcuno, esita a fare scelte decise ma impopolari per qualche settore. In secondo luogo per la mancanza di risorse finanziarie, perchè per fare politiche di reddito ci vogliono soldi ed i fondi sono tuttora insufficienti. In terzo luogo per mancanza di quella visione che negli ultimi decenni ha portato a questa giungla con forti iniquità orizzontali. Per uscirne ha quindi indicato tre obiettivi: la redistribuzione del carico fiscale, la semplificazione ed infine criteri di equità fiscale sia in senso verticale che orizzontale, spostando così il nocciolo del problema sulla necessità di testi unici con norme meno vessatorie, con meno adempimenti e senza retroattività. Senza però dimenticare che la mancanza di certezze per la giustizia tributaria non contribuisce certo a stabilizzare il sistema. A seguire l’intervento di Gianluigi Paragone, senatore eletto con il Movimento 5 Stelle, attualmente promotore di Italexit e giornalista, finalizzato soprattutto a marcare le contraddizioni dell’attuale gestione emergenziale della politica fiscale. In realtà infatti, dice Paragone, congelando scadenze e pendenze non si capisce più lo stato reale del Paese e si è creata una bolla che prima o poi esploderà perché questa situazione ‘sospesa’ non può proseguire a tempo indefinito. Nello specifico, per quanto riguarda la riforma fiscale, sottolinea che oggi tutte le riforme passano dal Governo escludendo il Parlamento ed il suo ruolo fondamentale: la stessa politica dei bonus è costruita su misura di chi li eroga, del burocrate e non di chi ne dovrebbe beneficiare ed è costretto ad affrontare un percorso ad ostacoli per poterne (e non sempre) usufruire. Ed ancora il tema dei professionisti, perché teme che dietro il termine ‘modernità’ si stia cercando di condurre il mondo là dove algoritmi e intelligenza artificiale sostituiscano le professioni con un volume di dati e soluzioni che l’essere umano non può né avere né dare. Ed infine l’intervento, tribolato e quindi limitato per problemi di collegamento, con Massimo Garavaglia, senatore della Lega, all’epoca del confronto all’opposizione e poche settimane dopo al Governo con l’incarico di Ministro del Turismo. Il suo intervento era impostato principalmente sul tema delle scelte e della loro opportunità: misure a valle e non a monte, bonus e incentivi che in pratica diventano soldi buttati, come i cinque miliardi di incentivi per il cash back realizzato per chi spende i soldi (e quindi ha già i soldi…). Oppure lo sforamento di bilancio da 30 miliardi a gennaio dopo aver fatto la legge di bilancio a dicembre. Riprendendo le fila del discorso iniziale, Marcello Guadalupi chiude con una constatazione che è anche un auspicio: dal confronto di oggi è emersa l’importanza e l’esigenza di parlarsi ed ascoltarsi e la disponibilità del mondo politico ed il suo interesse verso il mondo delle professioni. Nei prossimi incontri sarà quindi necessario uscire dai massimi sistemi ed affrontare le singole tematiche, sempre in continuo e reciproco interscambio con la politica, con cui il mondo delle professioni deve necessariamente interfacciarsi in costante dialettica.

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Alla ricerca dell’errore lombardo

Alla ricerca dell’errore lombardo. Nelle prossime settimane si cercherà di capire da più parti quale sia stato il momento in cui si è passati da avere una sanità eccellente a una sanità in pezzi. Bisogna cioè partire alla ricerca dell’errore lombardo. Perché tanto la guida della pandemia alla fine l’ha presa lo Stato: per la parte digitale ci penserà Poste, mentre per quella logistica la Protezione civile nazionale. Dunque c’è tempo di provare a raccapezzarsi. Matteo Salvini ha spiegato in una dichiarazione che il problema per lui è qualche tecnico all’interno del Pirellone che ha sbagliato la programmazione dei vaccini. Almeno è un’idea. E sicuramente con fondamento, perché le strutture tecniche lombarde sono andate in tilt. In parte però è colpa anche della politica, perché è la politica a selezionare i vertici delle strutture tecniche. Ma ancora prima c’è un problema di classe dirigente lombarda: da troppi anni le posizioni alte delle liste elettorali sono occupate dagli stessi nomi, spesso incapaci tra l’altro di costruirsi un percorso oltre quello della rendita di posizione. Ci sono consiglieri comunali che sono rimasti sempre tali e tali rimarranno. Eppure persino loro hanno la possibilità di dire qualcosa. Pure di fare telefonate per cercare di complicare la vita ai giornalisti che non sono allineati. Allora forse l’errore lombardo è lì: nei volti stantii e incattiviti di gente la cui vita politica non è mai decollata. Come possono essere selezionati i giusti tecnici se chi li seleziona fa parte di quelle che a carte si chiamano scartine? Vero è che in Italia è stato vicepremier uno non laureato e con alle spalle una carriera da ragazza delle sigarette stile Betty Boop, ma questa è Milano e la Lombardia. Una regione che merita di meglio. Merita di più. Altrimenti la ricerca dell’errore lombardo sarà l’ennesima perdita di tempo mentre si corre verso un burrone.

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Il Tar torna al centro della politica

Il Tar torna al centro della politica. Il Tribunale amministrativo regionale è un organismo in teoria amministrativo, in realtà politico. Le decisioni del Tar hanno condizionato la vita dell’Italia degli ultimi 30 anni più del Berlusconismo o delle Guerre Post Torri Gemelle. Non c’è stato un grande tema o un’appalto pubblico o privato su cui non si sia espresso un Tar. E di solito era per bloccare qualche azione amministrativa. Per ogni torrente che esonda ci sono procedure per la manutenzione degli argini che arrancano perché dopo ogni gara pubblica si ricorre al Tar, anche solo per infastidire il concorrente e prosciugarne le risorse con corsi e ricorsi. Oggi è successo ancora: un gruppo di genitori decide che nonostante ci siano già indicazioni da neurodeliri dai vari livelli politico-amministrativi, era giusto ricorrere al Tar per chiedere la riapertura delle scuole. Sia chiaro: il Tar ha solo stabilito che la delibera regionale che imponeva la chiusura dei licei non era tecnicamente adeguata. E dunque le scuole possono riaprire. Anzi devono. Quindi il Tar prende una decisione tecnica, ma di fatto è politica. Perché se aprire o no è una decisione che spetta a persone elette democraticamente. Non un oscuro consiglio di giudici deputati in teoria a risolvere dispute di condominio. Ecco infatti che il Tar torna al centro della politica pure in Lombardia e pure Attilio Fontana deve intraprendere un ricorso al Tar. In un modo o nell’altro questi consigli di non eletti hanno influenzato la vita di tutti i cittadini italiani. Sono gli stessi che potrebbero bloccare un progetto per risanare gli argini di un torrente e poi far condannare a risarcimenti più alti gli amministratori pubblici che non hanno eseguito i lavori. I Custodi del Codice, che parlano per il Popolo italiano senza aver mai chiesto il permesso a nessuno. Altro che Deep State.

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Gianfranco Rotondi (FI): “La questione meridionale dei Sudisti è tra i punti essenziali del programma dei popolari” 

Gianfranco Rotondi (FI): “La questione meridionale dei Sudisti è tra i punti essenziali del programma dei popolari”. “La questione meridionale, oggetto di impegno da parte dei Sudisti, e diritti fondamentali dei cittadini sono i punti essenziali del programma dei popolari, i quali ricalcano, seppur con i dovuti distinguo, i valori di De Gasperi e Don Sturzo. Lavoro per la creazione di  una grande area centrale, che, per raggiungere le proprie finalità ha bisogno di convogliare, al suo interno, una parte dell’attuale maggioranza e una parte dell’attuale opposizione” ha dichiarato, nel corso di un’intervista rilasciata su Iripinia TV, il vicepresidente dei deputati di Forza Italia e Presidente della Fondazione DC, l’Onorevole Gianfranco Rotondi.  “Noi Sudisti Italiani abbiamo sempre  affermato di voler sostenere il progetto di Gianfranco Rotondi e, pertanto, di voler dar vita ad un centro democratico, moderato e ambientalista, che è giunta l’ora di concretizzare” risponde Biagio Maimone, tra fondatori del Movimento Sudisti Italiani, il quale ha aggiunto: “Per noi urge, in via prioritaria, risolvere la questione meridionale, ossia lo stato di  minor benessere del Meridione d’Italia, per non dire di abbandono politico e, conseguentemente, economico, collegato all’assenza o quasi di grandi realtà produttive che operino nel Sud Italia e, pertanto, garantiscano il benessere economico principale che è il lavoro, che i meridionali sono costretti a cercare altrove, trasferendosi nel Nord Italia o  emigrando nel resto del mondo. Proponiamo, quindi, un disegno di legge che ratifichi una No tax area, tale in quanto consentirà al Sud Italia di accogliere le aziende o rami di aziende del Nord Italia, rendendole beneficiare di una detassazione rilevante. La no tax area consentirà lo sviluppo di attività lavorative nel Sud Italia favorendo la delocalizzazione di Aziende nel Mezzogiorno d’Italia,  anziché in altri territori non italiani, come già avviene, in quanto ritenuti meno gravosi dal punto di vista fiscale. Ciò significherà lo sviluppo dei territori del Sud Italia, di cui  abbiamo scritto profusamente, da antesignani contemporanei.dello sviluppo del Meridione d’Italia. Il lavoro potrà essere “universalizzato”, ossia diffuso in modo paritetico, nei territori italiani . Non vi è dubbio  che da tale universalizzazione prenderà il via  la svolta economica e la crescita del benessere del Sud Italia”.

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